domenica 26 novembre 2017

I consulenti del governo aiutano le multinazionali e fregano gli imprenditori

Solo qualche giorno fa l’Ocse ci ha rivelato che, malgrado un infinitesimale calo dello 0,4%, la pressione fiscale italiana del 2016, pari al 42,9% del Pil, è ancora la sesta più alta del mondo. Le cose vanno un pochino meglio, ma non di molto, se si calcola la tassazione pro capite. Con 13.383 euro versati al fisco nel 2015, l’Italia si piazza al 13esimo posto, ben al di sopra della media dei Paesi Ocse. Dove abbiamo il primato assoluto è nell’utilizzo della leva fiscale per far quadrare i conti pubblici. La percentuale delle entrate tributarie sul totale delle entrate del governo è infatti risultata nel 2015 al 91,4%. Il valore più alto del pianeta a cui si avvicinano solo Nuova Zelanda (90,5%) e, seppure più distanziata, Spagna (87,3%), mentre la maggior parte dei Paesi è intorno all’83%.
La percentuale significa che senza svuotare le tasche dei contribuenti lo Stato non ha alcun modo di procurasi quattrini. Ragionamento che rimanda alla cattiva gestione delle partecipate pubbliche e all’incapacità di sfruttare materie prime e bellezze naturali.

La musica, ovviamente, non è affatto cambiato da quando l’Ocse ha effettuato le sue rivelazioni. E non cambiera neppure il prossimo anno, malgrado le rassicurazioni del governo sull’assenza di nuove tasse nella legge di bilancio attualmente all’esame del Parlamento. Certo, il governo ci ha risparmiato la mega stangata da 15,7 miliardi sterilizzando l’aumento dell’Iva previsto per il 2018 dalle clausole di salvaguardia. Ma i conti, sul fronte fiscale, non tornano lo stesso. Secondo quanto calcolato da Unimpresa sui saldi della manovra per il prossimo anno sono previsti 6,3 miliardi di maggiori entrate, accompagnati da 5,2 miliardi di interventi di riduzione della spesa pubblica. Vi sono poi misure per ulteriori minori entrate per poco più di 1 miliardo accompagnate da maggiori spese per 5,7 miliardi. Il calcolo complessivo è presto fatto: al netto delle clausole di salvaguardia per il 2018 risulta un aumento di tasseper 5,3 miliardi e un incremento della spesa per 565 miliardi.

E non è finita. Perché la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia è stata prevista esclusivamente per il prossimo anno e non per quelli successivi. Il che significa che il prossimo governo si troverà da subito con una bomba pronta ad esplodere.  Secondo i calcoli dell’associazione, infatti, nel 2019-2020 l’aumento delle aliquote Iva (quella ordinaria dal 22 al 25% e quella agevolata dal 10 all’11,5%) comporterà complessivamente un aumento del gettito tributario superiore a 30 miliardi di euro. Nel 2019, l’incremento sarà di 11,4 miliardi e nel 2020 di 19,1 miliardi per un totale di 30,5 miliardi.
«Mentre il governo discetta sulla web tax, che pure è un intervento rigoroso, i cittadini e le imprese si preparano ad aprire il portafogli per sostenere i conti pubblici», commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. «La realtà è che ancora una volta abbiamo assistito a un profluvio di dichiarazioni di stampo molto elettorale, con i rappresentanti delle istituzioni che omettono la verità: ovvero che nei prossimi anni ci saranno sempre più tasse da pagare».

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