mercoledì 8 novembre 2017

Rottamazione peggio dei condoni. Stesse conseguenze e minori incassi

La versione ufficiale del governo è nota. Né la voluntary disclosure né la rottamazione delle cartelle, ha spiegato più volte il ministero dell’Economia, Pier Carlo Padoan, rappresentano «un condono», poiché i contribuenti ottengono un colpo di spugna su interessi di mora e sanzioni, ma alla fine pagano il «dovuto». Versione buona, forse, la prima volta. Ma che ha iniziato a vacillare con la riproposizione ossessiva prima delle misure per l’emersione dei capitali (il bis del 2016) e poi della definizione agevolata per i ruoli di Equitalia (il bis è nel decreto fiscale attualmente in discussione al Senato). Persino Pier Luigi Bersani, allora ancora nella minoranza Dem, di fronte alla disclosure bis ebbe a dire: «Sembra un’idea di Corona...».

La finzione del governo è definitivamente caduta con la riapertura dei termini per rottamare le cartelle. «La riapertura dei condoni rafforza l’idea di un’amministrazione che, incapace di recuperare quanto non versato, si piega all’evasore incentivando nuova aspettativa di condoni futuri e quindi nuova evasione», ha denunciato lunedì la leader della Cgil, Susanna Camusso, durante l’audizione sulla manovra. E ieri, sempre davanti alle commissioni Bilancio riunite al Senato, a rincarare la dose ci ha pensato l’Ufficio parlamentare di bilancio. Dopo aver sottolineato che la manovra «evidenzia per il 2017 un forte rischio di deviazione significativa per quanto riguarda sia il sentiero di aggiustamento del saldo strutturale (in termini annuali e biennali), sia il rispetto della regola sulla spesa, a causa del maggior tasso di crescita della spesa totale indicato dal Dpb rispetto al Def (1,6 contro l’1,2 per cento)», il presidente dell’organismo indipendente di controllo, Giuseppe Pisauro, ha spiegato che l’estensione della definizione agevolata dei carichi fiscali è «una misura simile a un condono fiscale, prevedendo l’estinzione di sanzioni e interessi di mora, in questo modo, premiando i contribuenti meno meritevoli e indebolendo il senso di obbedienza fiscale della platea dei contribuenti».

L’effetto deleterio che secondo l’Upb deriverebbe dalla rottamazione bis è, dunque, esattamente identico a quello dei condoni «tradizionali»: incentivazione alla disobbedienza fiscale e senso di inquità diffuso.
L’unica differenza è data dagli incassi. Su questo fronte i condoni dichiarati sembrano molto più efficaci di quelli mascherati. La prima edizione della voluntary disclosure ha garantito all’erario circa 4 miliardi. La seconda, chiusa lo scorso luglio, è andata assai a rilento, portando alla fine un gettito di 530 milioni rispetto agli 1,6 miliardi stimati dal governo per il 2017. Anche di qui l’idea di ritornare sulla rottamazione, con previsioni di incasso, però, modeste già dall’inizio. Dalla prima edizione si attendono entrate per 7,2 miliardi di euro, ma il gettito aggiuntivo vero e proprio, rispetto al livello ipotizzabile senza rottamazione, è di 2,3 miliardi nel 2017, 2 miliardi nel 2018 e 800 milioni nel 2019, per un totale di 5,1 miliardi. Dalla rottamazione bis si stimano, invece, incassi per circa 1 miliardo nel 2018, sia dalla riammissione di chi era stato escluso sia attraverso l’estensione ai primi nove mesi del 2017.
Ben diverse sono le cifre dei vecchi e criticati condoni. Quello tombale del 1991, ad esempio, ha portato all’erario circa 10 miliardi dell’epoca. Ammonta a circa 20 miliardi, invece, il gettito della sanatoria del 2003. Come dire: una volta deciso il colpo di spugna, meglio farlo bene.

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