venerdì 10 novembre 2017

Scaricabarile sui crac veneti. Tra Bankitalia e Consob finisce a schiaffi

Alla fine l’atteso confronto all’americana non c’è stato. Ma questo non ha impedito a Consob e Bankitalia di suonarsele di santa ragione, accusandosi reciprocamente di non aver fatto il possibile per evitare i crac bancari di Veneto Banca e Pop Vicenza e per tutelare i risparmiatori.

Qualcuno, nella commissione d’inchiesta sulle banche, aveva presagito l’uragano. Il tentativo di evitare il clamoroso scaricabarile facendo precedere il faccia a faccia dalle singole audizioni (tra l’altro trasformate in «testimonianze» formali) è, però, servito a poco. A menare i primi fendenti è stato il direttore generale della Consob, Angelo Apponi, secondo il quale Bankitalia aspettò due anni prima di rivelare che il prezzo dell’aumento di capitale di Veneto Banca del 2013 era totalmente sballato. Nella prima comunicazione arrivata all’epoca della ricapitalizzazione, ha spiegato Apponi, «ci viene detto che il prezzo è alto. Altro è quello che leggiamo nel verbale ispettivo, che riceviamo nel 2015, dove si dice che la metodologia di calcolo del prezzo è irrazionale e ci sono dei vizi. L’informazione è significativamente diversa». E in ogni caso Bankitalia scrisse che l’operazione era «strumentale a obiettivi previsti dal piano per effettuare eventuali acquisizioni coerenti con il modello strategico della banca salvaguardando liquidità e solidità». Per quanto riguarda la Popolare di Vicenza la Consob sostiene addirittura di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione sui valori eccessivi dei prezzi delle azioni.

Dura la replica del capo della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, secondo nella lettera del novembre 2013 Via Nazionale sottolinea criticamente la prassi della banca veneta di prezzare le azioni ad un valore «costantemente crescente» e «incoerente con il contesto economico attuale, cioè c’è la crisi, e con l’esercizio precedente chiuso in perdita». Tali informazioni, per Barbagallo, erano «più che sufficienti a far scattare un warning» della Consob. «Se l’autorità poi non agisce», ha aggiunto, «non so». Subito dopo aver mostrato i muscoli, però, Barbagallo ha ammesso di non aver mandato nulla in seguito all’ispezione in Bpvi del 2008 da cui emersero carenze nella formazione del prezzo delle azioni. Motivo? «Ipotizzavamo che i problemi fossero procedurali, risolvibili e affrontabili da parte nostra». E poi, ha proseguito il capo della vigilanza, «la Banca d’Italia effettua circa 250 ispezioni l’anno presso le banche. Gli esiti delle ispezioni li inviamo ma non tutti i verbali ispettivi. Non possiamo inondare la Consob con tutti i verbali».

E dopo aver decretato l’impossibilità di qualsiasi coordinamento sui controlli, Barbagallo ha voluto chiudere certificando l’assoluta inutilità dei prospetti informativi.Ecco, infatti, la soluzione proposta da Bankitalia per tutelare i risparmiatori da eventuali truffe sulle obbligazioni: «O proibiamo o non otteniamo risultati, per quanto si scriva sul prospetto, la questione non penetra, bisogna arrivare alla proibizione».
Al termine del violento scambio di colpi a distanza il presidente dell’authority, Pier Ferdinando Casini, ha ritenuto che le palate di fango, per la giornata, fossero sufficienti. E ha spiegato che essendoci solo un «disaccordo valutativo» e non su «fatti e circostanze» la possibilità di un confronto diretto sarà valutata solo dopo aver esaminato i resoconti stenografici delle audizioni.
L’ex premier Matteo Renzi non si è lasciato sfuggire l’occasione per dare un’altra spallata a Via Nazionale: «Chi ha sbagliato deve pagare, non è populismo, è giustizia». Seguito a ruota dal segretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti: «Gentiloni si vergogni e Visco liberi il Paese dall’imbarazzo». Martedi prossimo si ricomincia. In commissione arrivano i magistrati che indagano su Mps.

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