Gabbati due volte. Sia chi sperava di andare in pensione con qualche anno di anticipo sia chi pensava di poter evitare l’allungamento dei requisiti per lasciare il lavoro a 67 anni, così come previsto dalle tabelle Istat sull’aspettativa di vita. Le mosse del governo sul terreno previdenziale iniziano ad assumere il sapore della beffa. Da una parte c’è l’Ape sociale, che non solo è partito in ritardo, ma rischia di non poter essere utilizzato per niente.
I problemi legati ai requisiti stringenti previsti per l’anticipo pensionistico a spese dello Stato erano già esplosi qualche settimana fa, quando si era capito che la maggior parte delle domande per andare in quiescenza con 63 anni di età stava per finire nel cestino. Il governo ha allora emanato una circolare per rendere più elastici i paletti e ha invitato l’Inps ha riesaminare le richieste. A pochi giorni dalla scadenza ultima del 30 novembre, però, sembra che la musica non sia cambiata. Alle indiscrezioni che stanno circolando ieri l’istituto guidato da Tito Boeri ha voluto rispondere per le rime, spiegando che «l’Inps non è in possesso di tutte le informazioni necessarie all’accertamento del diritto e spesso tali informazioni non possono essere fornite neanche dagli Enti che le detengono». In altre parole, la legge è stata mal calibrata e non è di fatto applicabile, poiché chiede dei requisiti che nessuno è in grado di dimostrare o di certificare in via documentale. Di fronte a tale parodosso, che rischia di lasciare a bocca asciutta l’intera platea potenziale, con buona pace delle promesse governative, il suggerimento di Boeri, che si commenta da solo, è «di non strumentalizzare la difficoltà di reperimento delle informazioni con inutili polemiche».
Forse possono sembrare inutili anche le polemiche sollevate dalla Cgil contro il governo sullo stop dell’età pensionabile. In vista della manifestazione del 2 dicembre il sindacato si è rifatto i calcoli della platea che, secondo l’emendamento presentato dal governo alla manovra di bilancia, potrebbe beneficiare di un congelamento dell’allungamento dell’aspettativa di vita in quanto impegnati in lavori gravosi. Rispetto ai 14.600 lavoratori stimati da Palazzo Chigi per la Cgil «la platea realmente coinvolta da queste misure sarà di circa 8mila lavoratori nel 2019, e di 8.800 nel 2020». Uno scarto così marcato rispetto alle cifre del governo sugli esentati, si deve soprattutto al fatto che «non viene considerato adeguatamente l’effetto limitativo delle clausole d’accesso» e non si valuta che «ben pochi lavoratori raggiungeranno il requisito contributivo dei 42 anni e 10 mesi (41 e 10 per le donne) previsto per la pensione anticipata».
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