domenica 11 settembre 2016

I nein della Merkel ci costeranno 10 miliardi

Al di là degli insulti volati venerdì all’indirizzo del premier Matteo Renzi e del presidente francese Francois Hollande, accusati di «irresponsabilità» per aver partecipato al vertice anti-austerity di Atene organizzato dal leader greco Alexis Tsipras, la posizione assunta dal capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, traccia chiaramente la linea che sarà seguita dalla Germania nella trattativa sulla flessibilità italiana. «Il gruppo dei socialisti europei», ha spiegato in un’intervista ad Avvenire, «sta mettendo in discussione le regole esistenti, e sta facendo forte pressione per modificarle. Ecco, noi non ci staremo, la nostra opposizione sarà decisa. Perché le attuali regole sono anche il frutto delle lezioni che abbiamo appreso dalla crisi finanziaria degli anni passati, guai a dimenticarle». E a chi pensa di riscriverle Weber fa sapere che, chiaramente, «bisogna discuterne». Ma sarebbe poco più di un esercizio accademico. «Noi», ha sentenziato, «bloccheremo qualsiasi proposta legislativa che punti a modificare il patto di stabilità».

Non si tratta, al dire il vero, di una grande novità. La posizione tedesca sul cambiamento delle regole è nota ed è emersa anche all’Eurogruppo di venerdi, dove i rappresentanti di Berlino. Ma le speranze dell’Italia di far quadrare i conti della manovra sono appese proprio lì. Come ha detto il commissario Pierre Moscovici venerdì scorso, il nostro Paese, ha già chiesto tutta la flessibilità che c’era da chiedere. A gennaio del 2015 la Commissione ha allargato il permietro delle deroghe possibili, comprendendo anche le riforme, oltre agli investimenti e alle circostanze eccezionali come la sicurezza e gli immigrati, nella lista delle clausole che permettono una devizazione di qualche decimale rispetto agli obiettivi prestabiliti di riduzione del deficit.
Grazie a questa interpretazione estensiva la Commissione lo scorso maggio ha concesso all’Italia non solo 13,5 miliardi di flessibilità sul 2016 (portando il deficit/pil al 2,3%), ma ha anche accettato che l’Italia nel 2017 chiuda il bilancio con un deficit/pil dell’1,8% rispetto all’1,4% programmato. Si tratta di uno 0,4% del pil, che, in soldoni, vuol dire circa 7 miliardi.

La necessità del governo, per coprire la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (che farebbero scattare un aumento di Iva e accise di 15 miliardi), le altre misure già previste per incrementare la produttività e tutti gli interventi che nelle ultime settimane (ieri dalla Fiera del Levante Renzi ha lanciato il «bonus hotel») il promessificio di Palazzo Chigi ha iniziato a sfornare a getto continuo, è, però, quella di alzare l’asticella del deficit fino al 2,3-2,4%, praticamente in linea con il risultato del 2016. Manca dunque all’appello uno 0,5-0,6% del pil, che significa 8-10 miliardi.
Avendo esaurito i margini di manovra sulla flessibilità prevista dalle attuali norme Ue, tranne ovviamente le spese legate al terremoto, Renzi punta proprio sulla modifica del patto di cui si sta discutendo in queste settimane per aggirare l’ostacolo. Va letto in quest’ottica l’asse con Hollande e i Paesi del Mediterraneo, che si è saldato venerdi ad Atene. Ed è stata questa anche la linea tenuta dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, alla due giorni informale di Bratislava. Durante l’incontro bilaterale com Moscovici, ha voluto chiarire il ministro, «non c’è stata alcuna richiesta esplicita di flessibilità, perché, come sappiamo, la flessibilità è stata concessa già all’Italia che ha tutto il diritto di ottenerla, ma non è previsto al momento nessuna estensione ad anni successivi».
L’Italia, insomma, seguirà le regole, ma contemporaneamente lavorerà per cambiarle. Perché, come ha detto Padoan, «potrebbero essere migliorate». Si incardina qui, in questo nuovo scenario, il muro alzato da Berlino. Un muro che ieri Padoan ha cercato di smussare, depotenziando le accuse lanciate dal ministro tedesco Wolfgang Scheuble contro il summit Euromed. Parole, ha minimizzato, dovute «al clima elettorale in Germania».

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