venerdì 23 settembre 2016

Anche Juncker getta la spugna: "Quest'Europa va molto male"

Qualche sintomo si era intravisto già la scorsa settimana, in occasione del Discorso sullo stato dell’Unione. Ma il quadro clinico è precipitato nel giro di pochi giorni. «L’Unione va molto male. Un anno fa dicevo che non c’era abbastanza Unione e dopo un anno non posso che ripeterlo. Le rotture e le fessure sono numerose e sono pericolose». Queste le parole di Jean-Claude Juncker, che si è presentato davanti alla plenaria del Cese (Comitato economico e sociale europeo) zoppicando, per la sciatica. «Oggi sto come l’Europa», ha ironizzato.

Ma più che claudicante, la Ue disegnata dal presidente della Commissione, fino ad oggi campione dell’euroentusiasmo, sembra con un piede nella fossa. Juncker la chiama «policrisi». Si tratta di un elenco di grane che somiglia ad un bollettino di guerra: «L’Ue è alle prese con la crisi dei rifugiati, la Brexit, la mancanza di investimenti, la situazione in Ucraina e Siria», che sono vicini all’Europa, e la disoccupazione, «con un tasso che ora è vicino a quello degli Usa e cinque anni fa era più basso di 5 punti».
In questo scenario, ha clamorosamente ammesso Juncker, «non chiedo più che ci siano gli Stati Uniti d’Europa. Era un concetto che aveva spazio subito dopo la guerra, ma oggi gli europei non vogliono che la Ue diventi uno Stato». La nuova versione è che l’Europa «respira grazie alle sue differenze, alle tante sfumature».

Nello sfacelo generale, l’unica cosa che si salva, manco a dirlo, è il Patto di stabilità. I diktat che stanno soffocando il continente, secondo Juncker costituiscono invece le fondamenta dell’Unione. «Il patto funziona», ha spiegato, «non è stupido come diceva uno dei miei predecessori». Anzi, grazie ad esso «la situazione di bilancio e finanziaria dell’Europa è molto migliorata negli anni. Nel 2009 nella zona euro avevamo un deficit di bilancio in media del 6,3% e oggi dell’1,9%, cosa che dimostra che il consolidamento delle finanze pubbliche in Europa continua».
E chi deve continuare a consolidare è sicuramente l’Italia. «Nel Patto abbiamo già introdotto molti elementi di flessibilità», ha detto il presidente della Commissione, senza i quali «l’Italia, che ne ha beneficiato più di tutti, quest’anno avrebbe dovuto spendere 19 miliardi in meno». Secondo il calcolo di Juncker, insomma, grazie alle concessioni della Commissione, Matteo Renzi avrebbe finanziato il 66% dell’ultima manovra da 30 miliardi grazie al margine di deficit gentilmente elargito da Bruxelles. Il che parrebbe significare che la cuccagna è finita. E il governo dovrà fare a meno degli 8-10 miliardi a cui puntava per far quadrare i conti.

Mano tesa al premier, invece, sull’immigrazione. «Ammiro molto l’Italia e la Grecia» per quanto fanno per gestire il fenomeno dei migranti, ha detto Juncker, «ma l’Italia fa meglio perché salva migliaia di vite al giorno». Quanto all’invasione del nostro Paese, il presidente della Commissione ha riconosciuto che le navi messe a disposizione dalla Ue salvano i naufraghi e poi li portano tutti da noi. «Credo», ha detto, «che la ripartizione dei rifugiati si debba fare in modo solidale. Alcuni Paesi dicono che non vogliono i musulmani, è un ragionamento inaccettabile». Quanto alla protezione delle frontiere, «l’aveva proposta Frattini 8 anni fa, kma solo oggi c’è l’interesse degli Stati membri». Juncker si è, infine, detto d’accordo con Renzi sulla necessità di investire in Africa. Altrimenti, ha spiegato, «l’Africa verrà in Europa».

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