Alla fine, dopo la sfilza di risultati negativi snocciolata dall’Istat nelle ultime settimane, la verità ha iniziato a fare capolino. L’addio allo zero virgola, con tutta probabilità, è rimandato. Anche per quest’anno il Pil si preannuncia sotto l’1%, in barba alle previsioni e agli annunci. Ad ammettere la flessione è stato ieri lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che a pochi giorni dalla presentazione della nota di aggiornamento del Def (il prossimo 27 settembre) non ha più potuto nascondere la situazione. «L’economia italiana», ha detto, «sta crescendo non così velocemente come vorremmo vedere. Le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso anche nei dati che il governo sta per rilasciare». Concetto ribadito dal premier Matteo Renzi durante la visita alla Siemens di Milano: «Noi diciamo la verità, non barzellette. I dati su Pil sono tornati positivi, ma non è abbastanza, non vanno con la velocità che vorremmo».
Di quale rallentamento si parli esattamente i due non l’hanno spiegato. Ma mettendo insieme le voci che circolano a Palazzo Chigi e il fatto che il governo aveva già abbassato l’asticella del Pil dall’1,2 previsto nel Def di aprile all’1%, è facile intuire che le nuove stime si attesteranno intorno allo 0,9%. Con la consapevolezza che il dato finale potrebbe essere anche dello 0,8%,come nel 2015.
La sostanza è che nell’anno della sfolgorante ripresa, così almeno ci era stata annunciata lo scorso inverno, l’Italia non si è spostata di un millimetro. E che anche l’anno prossimo ci sarà da faticare. Rispetto all’1,4% stimato nel Def l’indicatore si attesterà probabilmente all’1,1-1,2%. Uno scenario che del resto era già stato ampiamente tratteggiato sia dall’Fmi sia da Bankitalia (0,9% nel 2016 e 1% nel 2017).
Al di là della delusione per la mancata accelerazione, desso si tratta di capire quali saranno le ripercussioni. Sullo sfondo non dovrebbe esserci una manovra correttiva sull’anno in corso, anche se servirà un ritocco contabile sul deficit, che gli accordi con Bruxelles prevedevano al 2,3% e invece chiuderà probabilmente al 2,5-2,6%.
Dove l’affanno del Pil impatterà pesantemente è, però, sulla legge di bilancio del 2017. Per coprire le clausole di salvaguardia da 15 miliardi e tutte le promesse fatte anche in questi giorni (dalle pensioni ai tagli contributivi fino al contratto della Pa e ai superammortamenti) ci vorranno circa 25-30 miliardi. Una cifra che il governo sperava di coprire in parte con altri 10-11 miliardi di flessibilità, spostando l’obiettivo di deficit del prossimo anno dall’1,8% al 2,4%. Ma all’Ecofin della scorsa settimana si è capito chiaramente che questa strada non è più percorribile. «Nessuna richiesta di flessibilità aggiuntiva è stata fatta», ha detto Padoan, ricordando che già l’1,8% di deficit/pil contiene una concessione (di circa 7 miliardi) rispetto all’obiettivo dell’1,4%. Se adesso i numeri cambiano, indicando per il 2017 un deficit ancora peggiore è chiaro che la situazione si mette malissimo. Il governo ancora spera nella possibilità di modificare le regole del patto di stabilità, per ottenere più margini sull’indebitamento. Ma è difficile, se non impossibile, che la Merkel molli la presa.
A questo punto il quadro più probabile è che il governo riduca ai minimi termini gli interventi espansivi. Padoan ha già messo in chiaro che l’Irpef per quest’anno non si tocca, ma anche gli sgravi contributivi e i bonus potrebbero finire a dieta. Sul fronte della spesa pubblica, come ha spiegato il viceministro all’Economia, Enrico Zanetti, è evidente che «una revisione al ribasso delle stima imporrà una ricerca di risparmi ancora più attenta».
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