Una vera e propria trappola, che ha sgretolato la fragile economia italiana e pregiudicato la possibilità di tornare in pista. Tra il 2000 e il 2015, praticamente da quando è stato introdotto l’euro, il pil è aumentato in Spagna del 23,5%, in Francia del 18,5% e in Germania del 18,2%. Nello stesso periodo da noi si è registrato un calo dello 0,5%.
E non è che l’inizio. Stando al quadro impietoso di Confindustria, che parla senza mezzi termini di un quindicennio di sviluppo perduto, l’appuntamento con i livelli pre-crisi è rimandato addirittura al 2028. «Nel contesto di accresciuta turbolenza globale», si legge nel rapporto del Centri studi di Viale dell’Astronomia, l’economia italiana presenta una debolezza superiore all’atteso». La risalita del Pil, secondo gli esperti di Confindustria, si è arrestata non adesso, ma dalla scorsa primavera. E gli ultimi indicatori congiunturali non puntano ad un rapido riavvio, ma piuttosto confermano il profilo piatto.
La sostanza è che la crescita fino a qualche mese fa prevista per il 2017, «sebbene già del tutto insoddisfacente, non è scontata e va riconquistata». L’operazione sarà lenta e faticosa. Il tempo sprecato, si legge nello studio, «si allunga notevolmente se si considera il prodotto per abitante, indicatore perfettibile ma significativo di benessere. Ai ritmi attuali di incremento del prodotto, l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028» In ogni caso, prosegue Confindustria, «non verrà mai riagguantato il sentiero di crescita che si sarebbe avuto proseguendo con il passo precedente, pur lento».
La tesi del Centro studi è che la crisi abbia comportato «un netto abbassamento del potenziale di crescita, che nelle stime dell’Fmi è sceso dall’1,2% allo 0,7%». Di qui la drammatica previsione nel breve periodo. Il Pil italiano si attesterà allo 0,7% quest’anno, mentre per il 2017 ci sarà addirittura una frenata, con una crescita ferma allo 0,5%. Le percentuali snocciolate da Confindustria si piazzano a distanze siderali da quelle previste dal governo nel Def (+1,2% nel 2016 e +1,4% nel 2017). Ma risultano molto più basse anche di quelle che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per sua stessa ammissione, si appresta a ritoccare verso il basso. Finora si è parlato di una crescita nel 2016 di poco sotto l’1%, con la speranza di raggiungere comunque l’obiettivo, e di un pil per il prossimo anno tra l’1,1 e l’1,2%. Il che, stando anche alle dichiarazioni fatte negli ultimi giorni da Padoan e dal premier Matteo Renzi, non è molto, ma è comunque un percorso di miglioramento.
Tutt’altro lo scenario previsto da Confindustria, che avrebbe conseguenze devastanti sulla tenuta dei conti pubblici. Secondo il Centro studi, con tali prospettive di crescita il deficit del 2017 (senza flessibilità europea) salirebbe dal previsto 1,8% (che già incorpora una concessione della Ue dello 0,4%) al 2,3% del Pil. Il che significa che, al di là di tutte le poste finora considerate, servirebbe un intervento sui saldi di bilancio di 16,6 miliardi. Un bagno di sangue.
Il governo, per ora, continua sulla sua strada. «Prendo le stime del Csc come una sollecitazione per prendere misure giuste» e dimostrare che le previsioni «sono sbagliate», ha replicato Padoan, sottolineando che l’analisi «si basa su ipotesi di policy di quadro programmatico diverse da quelle che il governo intende proporre e non per ragioni di polemica». In vista del 27 settembre, quando dovrà arrivare l’aggiornamento del Def, la cautela inizia comunque a farsi strada. «Concentreremo le scarse risorse», ha detto il ministro, «su pochi, efficaci interventi».
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