martedì 6 settembre 2016

Italia in panne, Inghilterra in paradiso

La Gran Bretagna decolla. L’Europa (con l’Italia in prima fila) affonda. Che le profezie e gli anatemi lanciati nei mesi scorsi (persino dall’Fmi) sull’effetto Brexit fossero azzardati lo si era intuito subito. Il sospetto, con il passare dei giorni, si è trasformato in certezza: le previsioni non solo erano traballanti e premature, ma totalmente sballate. Ieri, a fronte di una complessiva frenata del Vecchio Continente sull’indice Pmi, il Regno Unito ha inanellato l’ennesimo risultato positivo nell’arco di una settimana, con un balzo record dei servizi.

Non si può capire fino in fondo la beffa dei dati economici diffusi in questi giorni senza riportare indietro le lancette dell’orologio. Solo un mese fa tutti sembravano pronti a celebrare il funerale della Gran Bretagna. L’indice Pmi elaborato dalla società Markit ascoltando i direttori degli acquisti delle aziende (uno degli indicatori più seguiti dalla Bce) aveva decretato per il mese di luglio un calo a 47,4 punti (sotto il 50 è recessione) dei servizi, il minimo da sette anni a questa parte, e uno scivolone al 48,3, il minimo da 41 mesi, per il manifatturiero. A sepoltura quasi avvenuta, però, le imprese britanniche hanno clamorosamente rialzato la testa.
La settimana scorsa, trainato da produzione e nuovi ordini in arrivo, l’indice del manifatturiero è schizzato a 53,3 punti, con un’accelerazione inaspettata che ha portato il valore ai massimi da 10 mesi. La musica si è ripetuta ieri. Il dato sui servizi è esploso a 52,9, lasciando di stucco tutti gli analisti, che si attendevano al massimo un 50 e invece hanno dovuto assistere all’incremento più forte mai registrato dall’inizio delle rilevazioni, venti anni fa.

Speculare e beffardo il destino toccato all’Italia. All’inizio della scorsa settimana l’Istat aveva diffuso i dati sul fatturato dei servizi nel secondo trimestre, registrando un aumento dell’indice destagionalizzato dell’1% rispetto ai tre mesi precedenti.
Tanto era bastato al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per commentare informalmente che dietro quel risultato «incoraggiante» si prospettava un incremento altrettanto consistente del pil. Venerdì scorso, però, è arrivata la doccia gelata: la crescita italiana del secondo trimestre è rimasta ferma sullo zero spaccato, pronta ad imboccare un nuovo percorso di recessione. Come ha spiegato ieri l’Istat, diffondendo il dato «negativo» dell’indicatore anticipatore dell’economia di luglio, l’Italia «ha interrotto la fase di crescita condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell’offerta dalla caduta produttiva del settore industriale». Il verdetto è che si prospetta «un proseguimento della fase di debolezza».

Uno scenario confermato anche dall’indice Pmi di agosto. Malgrado un lieve miglioramento dei servizi (saliti da 52 a 52,3), il calo del manifatturiero a 49,8 (dai 51,2 punti di luglio), ha fatto indietreggiare l’indice composito da 52,2 a 51,9 punti, ai minimi da tre mesi.
 Ma il confronto con la Gran Bretagna è impietoso per tutta l’Eurozona, dove gli analisti si aspettavano un rialzo dell’indice a 53,3 rispetto ai 53,2 punti di luglio. Ancora una volta le stime si sono rivelate fasulle. L’indice Pmi composito è infatti scivolato a 52,9 punti. Si tratta del valore più basso degli ultimi 19 mesi. Il calo, ha spiegato la società di ricerca Ihs Markit, è da attribuire in larga parte alla performance della Germania, che ha registrato una diminuzione sia dell’indice manifatturiero (53,3 punti) sia di quello sui servizi (51,7). Il rallentamento della prima economia europea, a giudizio del capo economista Chris Williamson, è «forse la più grande fonte di preoccupazione». I dati, ha aggiunto, «daranno linfa alle attese nei confronti della Bce, che non dovrebbe aspettare prima di iniettare maggiori stimoli all’economia».
In attesa dell’aiuto di Mario Draghi, oggi si preannuncia un altro bagno di sangue, con il dato definitivo del pil dell’Eurozona nel secondo trimestre che, viste le premesse, non racconterà nulla di buono.

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