Altro che bonus. Oltre ad essere state lasciate a secco da Matteo Renzi, le pensioni degli italiani sono pure diminuite. La perdita del potere d’acquisto dal 2009 al 2016 è stata in media tra il 3 e il 4%, che in termini assoluti significa circa 70 euro al mese, poco meno degli 80 euro regalati dal premier ai lavoratori dipendenti.
L’origine della beffa ai danni dei pensionati, secondo un dettagliato studio realizzato da Centro Europa ricerche e Comitato unitario dei pensionati del lavoro autonomo, è nell’azione incrociata di fisco e mancata perequazione. Per gli assegni più bassi, su cui l’adeguamento all’inflazione non è mai venuto meno, l’erosione è stata determinata quasi esclusivamente dall’inasprimento della tassazione. Le pensioni di 1.500 euro, ad esempio, tra il 2009 e il 2016 hanno perso circa il 4%, ovvero 50 euro al mese. Riduzione che si abbassa al 3% (25 euro al mese) per gli assegni di mille euro.
Alzando l’asticella, però, la sforbiciate diventa più robusta per effetto del combinato disposto di fisco e perequazione. Le pensioni di importo superiore, tra i 2.000 e i 4.000 euro lordi, hanno subìto nel periodo in esame una riduzione di valore reale tra l’8 e il 9%. Un taglio dovuto per metà alla tassazione diretta e per l’altra metà alla parziale indicizzazione.
Il divario tra l’andamento del valore reale delle pensioni rispetto ai redditi da lavoro dipendente non si è attenuato né con la sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il blocco della perequazione disposto dal governo Monti, né con la legge di stabilità per il 2016, che ha alleggerito un po’ il peso del fisco allineando la detrazione di base dei pensionati ultrasettantacinquenni a quella dei dipendenti. Su quest’ultimo fronte poco è cambiato. Anche dopo l’allineamento, si legge nel rapporto Cer-Cupla, a causa delle minori detrazioni «un pensionato con un imponibile annuo di 15mila euro viene gravato di una imposta personale maggiore di circa 100 euro al mese rispetto ad un dipendente di pari reddito».
Quanto alla mancata perequazione, «le perdite sono rilevanti, nonostante il rimborso degli arretrati disposto dal decreto legge 65 del 2015, che ha fatto seguito al pronunciamento di illegittimità» della Consulta. Per rendere più efficace l’adeguamento all’inflazione, suggerisce lo studio, «occorrerebbe utilizzare un indice dei prezzi che rifletta maggiormente le caratteristiche del paniere di spesa dei consumatori poveri».
Mentre sul terreno fiscale la soluzione sarebbe quella di allargare anche ai pensionati il bonus di 80 euro. Con un godimento pieno per i redditi tra 6,5 e 10mila euro e uno parziale per la fascia tra 10 e 12mila euro. L’operazione convolgerebbe 3,2 milioni di pensionati e costrebbe 2,6 miliardi. Più dell’intero pacchetto previdenziali previsto dal governo.
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