Non solo paghiamo da anni molto più di quello che riceviamo, ma se l’Italia non rispetterà i diktat di Bruxelles sui vincoli di bilancio, l’Unione europea potrebbe anche decidere di tagliare quel poco che ci viene restituito attraverso i fondi strutturali. Il conto complessivo del dare e avere tra Italia e Ue parla chiaro. Dal 2000 ad oggi il nostro Paese ha versato nelle casse dell’Europa circa 203 miliardi. Dal bilancio di Bruxelles ne sono, però, tornati indietro sotto forma di finanziamenti per i vari programmi di intervento solo 141, con un saldo negativo netto di 62 miliardi. Cifra a cui bisognerebbe anche aggiungere i circa 60 miliardi distribuiti ai vari Paesi in difficoltà attraverso il fondo salva Stati.
La situazione è andata peggiorando con il passare degli anni. Se fino al 2007 lo sbilancio oscillava in media tra i 3 e i 4 miliardi l’anno, dal 2008 in poi la differenza tra versamenti e accrediti è praticamente raddoppiata, attestandosi sui 6-7 miliardi di rosso all’anno.
Solo nel periodo 2008-2014, ad esempio, secondo quanto certificato dalla Corte dei Conti lo scorso febbraio nella Relazione annuale al parlamento sui rapporti finanziari con la Ue, il saldo netto negativo ammonta addirittura a 46,19 miliardi di euro. Risultato della differenza tra 111,6 miliardi di contributi al bilancio dell’Unione e 65,4 miliardi di finanziamenti Ue.
Il buco annuale, già ingente e difficilmente comprensibile, potrebbe ora incrementarsi con il taglio secco dei fondi strutturali a cui sta pensando la Commissione per punire i Paesi indiscplinati. La misura sembra essere dietro l’angolo per la Spagna, che lo scorso luglio è riuscita ad evitare in zona Cesarini la multa per il mancato rispetto del percorso di riduzione del deficit. In quell’occasione, secondo quanto riportato dal quotidiano iberico Cinco Dias, il vicepresidente della Commissione, il finlandese Jyrki Katainen, fedelissimo della Merkel, mise sul tavolo la questione dei fondi, spiegando che l’ipotesi è quella di una sospensione per il 2017 che potrebbe raggiungere il 20% del totale. Una percentuale confermata recentemente dal ministro dell’Economia ad interim, Luis de Guindos, che di fronte al Parlamento europeo, come riporta Expansion, ha parlato di un possibile taglio di 1,32 miliardi di euro. Cifra che va rapportata al montante dei fondi strutturali assegnato alla Spagna nel periodo 2014-2020, che è di 37,5 miliardi, circa 5,3 miliardi l’anno.
Le colpe della Spagna sono di non aver operato la correzione strutturale del deficit concordata con la Ue e non aver tagliato il debito nel periodo 2013-2015. Praticamente quello che succederà all’Italia nel 2016 e 2017. Se il pil si attesterà sotto l’1%, come ormai tutti prevedono, il debito non scenderà quest’anno, come invece indicato nel Def e chiesto da Bruxelles, e il deficit del 2017 non si attesterà affatto all’1,8%, come concordato a maggio con la Commissione, ma al 2,3-2,4%. Senza contare l’intenzione del governo di forzare ancora l’asticella del deficit per trovare gli 8-10 miliardi necessari a sterilizzare una parte dei 15 miliardi di clausole di salvaguardia e a finanziare gli interventi promessi per su fisco, pensioni e produttività.
La procedura di infrazione è insomma molto probabile. E con essa potrebbe arrivare il taglio dei fondi strutturali. Complessivamente, tra Fesr, Fse, Feasr, Feamp, cooperazione territoriale e occupazione giovanile, all’Italia tra il 2014 e il 2020 spetterebbero circa 44 miliardi di euro provenienti dal bilancio Ue. Considerando una media di 6,2 miliardi l’anno, la sanzione del 20% potrebbe cancellare per il 2017 circa 1,2 miliardi di euro. Stangata a cui la Commissione potrebbe affiancare anche il rifiuto di concedere ulteriore flessibilità, lasciando così il governo completamente a secco.
È in questo scenario di assedio europeo che si inseriscono le recenti polemiche di Matteo Renzi contro il rigore franco-tedesco. Anche ieri il premier è tornato alla carica, sostenendo che «l’austerity senza visione rischia di essere un errore incredibile e allargare la divisione tra paesi in difficoltà e paesi forti». Una strategia, ha tuonato Renzi al Council of Foreign Relations di New York, che avvantaggia solo la Germania, che esporta «violando le regole sul surplus commerciale». L’Italia, ha concluso, «rispetterà le regole anche per il futuro. Ma perché non lo fa la Germania?».
© Libero