giovedì 29 settembre 2016

Fs porta le Frecce in Borsa e punta su autobus e strade

I binari vanno stretti a Renato Mazzoncini, che vuole trasformare le Fs in un operatore integrato della mobilità in grado di competere non solo sul business dei trasporti tradizionali su gomma, ma anche sul terreno delle realtà più innovative come Uber, il car sharing o i servizi on line proposti da Google. Un progetto «molto bello che guarda al futuro», lo ha definito il premier Matteo Renzi, che è pronto ad offrire il sostegno del governo ad un piano industriale decennale che prevede 94 miliardi di investimenti (73 per le infrastrutture, 14 per il materiale rotabile e 7 per le tecnologie), di cui 58 già disponibili, e un fatturato complessivo destinato a raddoppiare, puntando a ricavi per 17,6 miliardi, con una crescita del 70% fuori dal perimetro dell’attuale business.

Lo scenario illustrato dall’ad Mazzoncini e dalla presidente Gioia Ghezzi, in una presentazione ispirata a quelle delle grandi multinazionali americane (seppure rivisitata sulla base degli spazi offerti dalla Stazione Tiburtina di Roma), ruota intorno ad alcune grandi operazioni. Tra queste sicuramente la fusione con Anas, che uscirà dal perimetro della Pa (senza prelievi sulle accise), verrà conferita ad Fs e diventerà «sorella» di Rfi.
Il gruppo, però, perderà il suo fiore all’occhiello, che dovrà prendere la strada della Borsa. Un cambio di marcia significativo, quest’ultimo. Dopo mesi passati a spiegare che la forza di Fs è proprio nella sua integrità e che i privati sarebbero dovuti entrare dalla porta principale, ieri l’ad ha definitivamente escluso la quotazione della holding, piano sostenuto in passato dagli ex Moretti ed Elia oltre che dall’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Alla fine a passare, forse per esigenze di contabilità pubblica, è stata la linea del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, ovvero la quotazione della sola fetta già in grado di affrontare il mercato: le Frecce dell’alta velocità e gli intercity a lunga percorrenza. Un pezzo di Trenitalia, secondo quanto spiegato da Mazzoncini, che ha un debito di 1,5 miliardi, ma un fatturato di 2,4 miliardi e un ebitda di 700 milioni (con un margine del 33%), previsti rispettivamente in crescita fino a 3 miliardi e un miliardo.

In questo modo la rete (Rfi) resterà pubblica, come voleva Delrio e come, in qualche modo, obbliga la nuova normativa europea, che impedisce la distribuzione infragruppo degli utili dell’infrastruttura. Ma, soprattutto, sarà possibile collocare almeno il 30% delle Frecce «entro l’autunno del 2017», come ha detto la Ghezzi, senza dover aspettare l’aumento di redditività delle altre controllate, considerato da Mazzoncini necessario per lo sbarco in Borsa di tutto il gruppo.
L’ad ha poi annunciato che vuole crescere sulla gomma dal 6 al 25%, sull’estero dal 13 al 23% e che sta già lavorando con le regioni per l’acquisizione delle tratte delle ex ferrovie concesse. Quanto al ponte sullo Stretto, che secondo Mazzoncini costa solo 3,9 miliardi, basta «affrontarlo come una galleria, non è un problema».

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