venerdì 2 settembre 2016

La Svizzera: "Un vaffa all'Europa e siamo decollati"

Per chiarire definitivamente la propria posizione, prima dell’estate, a stretto giro con Brexit, la Svizzera ha chiesto a Bruxelles di stracciare la richiesta di adesione all’Unione europea che giaceva ammuffita in qualche cassetto della Commissione dal lontano 1992. Non che ce ne fosse bisogno. Al referendum indetto quell’anno per aderire allo spazio economico europeo votarono no il 50,3%. Poi, nel 1997, il 74,1% si dichiarò contrario all’iniziativa «Negoziati d’adesione alla CE: decida il popolo» e nel 2001 la percentuale di dissenso all’iniziativa «Sì all’Europa» salì al 76,8%.

Risultati via via più netti, non a causa di una irrazionale ideologia antieuropeista o ad un improvviso sentimento xenofobo, ma delle conseguenze concrete del «no, grazie» all’Europa. Come ha spiegato un paio di giorni fa sul Financial Times, Mark Haefele, capo dell’ufficio investimento per la gestione patrimoniale di Ubs, colosso bancario svizzero, «secondo l’allora ministro dell'Economia elvetico, europeista convinto, fu un triste giorno quello in cui cittadini svizzeri votarono contro l’ingresso del paese nello Spazio economico europeo (SEE) nel 1992. Eppure, la Confederazione è comunque riuscita a fiorire sul piano economico e dal 2004 ad oggi è risalita di sette posizioni nella classifica globale della competitività del World Economic Forum, fino a raggiungere il primo posto».

Haefele non ha dubbi, più che un’occasione persa, il mancato ingresso nella Ue è stata una grande opportunità: «Grazie al suo modello di regolamentazione poco onerosa ed enfasi sulla competenza, la Svizzera è diventata una calamita in grado di attrarre aziende di tutti i tipi, dalle multinazionali alle start-up. L’anno scorso ha presentato più domande di brevetti pro capite di qualsiasi altro paese al mondo  e supera l’UE in termini di adattabilità della forza lavoro». La crescita fenomenale della Svizzera da quel «no» del 1992 è testimoniata dai dati ufficiali dell’Ocse. Partita da un pil pro capite di 27.065 dollari la Confederazione elvetica è arrivata nel 2015 ad una quota di 60.491, più del doppio. Nello stesso periodo la performance dell’Italia è stata, manco a dirlo, asfittica, con un pil passato da 19.745 dollari a 35.941. Ma hanno segnato il passo anche Francia (18.895-39.812) e Germania (21.263-47.221). Il risultato è che mentre gli altri Paesi sono più o meno allineati, la Svizzera ora svetta rispetto ai 40mila dollari di pil procapite dell’Eurozona e addirittura rispetto ai 39.969 della media Ocse.

Uno stato di buona salute confermato anche ieri  dall’andamento del settore bancario, che malgrado le fortissime tensioni sui mercati e i tassi negativi, nel 2015 ha riaffermato la sua solidità con un aumento del risultato operativo del 5% a 64,6 miliardi di franchi. Come sottolineato dall’Associazione svizzera dei banchieri (Abs) gli istituti elvetici, nonostante gli accordi bilaterali che hanno di fatto messo fine agli accordi di riservatezza con i clienti, si sono confermati al primo posto mondiale nel segmento della gestione patrimoniale transfrontaliera, con una quota di mercato del 25%. E allo stesso tempo hanno generato, grazie ai robusti utili, circa il 6% della creazione di valore dell’intera Confederazione.

Questi risultati, secondo il manager di Ubs, dimostrano il grande inganno del panico da Brexit. «Scopriamo oggi che quella inizialmente denunciata come una rapina a mano armata era in realtà una trattativa male interpretata», ha scritto Haefele. Da più parti si temeva che i mercati globali subissero i contraccolpi del voto britannico. E invece, «il crollo post referendum è durato solo pochi giorni». Ora «i tre indici azionari principali degli Stati Uniti sfiorano livelli record, le azioni dei mercati emergenti si attestano ai massimi degli ultimi  12 mesi e la domanda di titoli di Stato dei Paesi sviluppati è così elevata che il 40% di queste obbligazioni registra ormai rendimenti negativi».
Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il sole splende all’orizzonte. Fuori dalla Ue, conclude il manager, «il Regno Unito sarà maggiormente in grado di creare il tipo di clima propizio alle imprese che contribuisce a spiegare il successo della Svizzera. Se i leader britannici prenderanno le decisioni giuste potranno sfruttare a lungo il lato positivo della Brexit».

© Libero