Inguaribile ottimismo o discreta faccia tosta. Sta di fatto che alla vigilia delle riunioni di governo che dovranno decidere l’entità della stangata aggiuntiva sulla casa Fabrizio Saccomanni ha voluto assicurare che ora si cambia. E i balzelli diminuiranno. «Il 2014», ha spiegato in un’intervista a Repubblica, «sarà l’anno della svolta. La ripresa si consoliderà e famiglie e imprese pagheranno meno tasse».
A garantire l’arrivo di nuove risorse, secondo il ministro dell’Economia, saranno da una parte il combinato disposto di spending review (32 miliardi da qui al 2016), lotta all’evasione fiscale (12 miliardi nel 2013) e sanatoria sui capitali in Svizzera e dall’altra il cosiddetto dividendo della stabilità, che in questi giorni molti si affannano a calcolare sulla base dei risparmi ottenuti dal calo dello spread. Un esercizio abbastanza accademico, in realtà, considerato che il minore costo del debito è già abbondantemente contabilizzato nelle leggi di bilancio (nel Def si stima uno spread a 200 punti base per tutto il 2014).
Ma il ministro, che ha anche escluso la possibilità di deviazioni rispetto ai vincoli europei del deficit al 3%, non ha dubbi: «Capisco che la gente si aspettava di più. Ma quest’anno la riduzione dell’Irpef non sarà insignificante. E nel prossimo triennio le tasse si ridurranno di ben 9 miliardi, con un calo graduale anno per anno. È un impegno che ho preso, con l’Europa e con gli italiani, e oggi lo rilancio».
Parole nette e decise, quelle di Saccomanni, che non sembrano, però, convincere tutti. Tra i primi a replicare c’è il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che gela Saccomanni con uno «speriamo che sia vero» e smonta l’entusiamo per il calo dello spread: «Sicuramente è una buona notizia, ma non spacciamola come una grande vittoria. Il differenziale spagnolo è calato più del nostro e quindi non è una buona notizia solo per l’Italia. Si tratta di una minore tensione sui mercati».
A prendere con le molle le promesse di Saccomanni ci sono anche gli alleati del Nuovo centrodestra. «La direzione di marcia è quella giusta», spiega il ministro per le Riforma, Gaetano Quagliarello, ma la svolta comporta «l’assunzione di impegni ben precisi», soprattutto sul fronte della riduzione fiscale, «su cui l’Ncd vigilerà e non arretrerà di un millimetro». Più duri i commenti arrivati da Forza Italia. «Imperturbabile, come se le vicende disastrose dell’economia italiana non fossero affar suo», chiosa il capogruppo alla Camera, renato Brunetta, «il ministro continua a descrivere un mondo che non è quello degli italiani. Beato lui». Mentre il vicecapogruppo al Senato, Anna Maria Bernini, definisce l’intervista «surreale», parlando di «provocazione verso le famiglie italiane che tra mille sacrifici si preparano alla prima stangata dell’anno».
I più scettici, in effetti, sono proprio i contribuenti, che di qui alla fine del mese già dovranno fare i conti con cinque adempimenti fiscali non trascurabili. Si parte il 9 gennaio con la regolarizzazione dell’acconto Ires e Irap, si prosegue il 16 con la «vecchia Imu» per case di lusso e seconde case e, lo stesso giorno, con la Tobin tax sulle transazioni finanziarie. Il 24 sarà il turno della cosiddetta mini-Imu, su cui il sottosegretario all’Economia, Paolo Baretta, ha escluso rimborsi o alleggerimenti, e il 30, come ultima ciliegina, del canone Rai.
La vera nota stonata rispetto alle frasi di Saccomanni è, però, costituita dalle manovre sulla Tasi, che oggi vedranno il governo impegnato nel quantificare le aliquote aggiuntive che dovrebbero consentire ai Comuni di riattivare le detrazioni già previste dall’Imu sulla prima casa, ma che di fatto porteranno la tassazione sulla casa a livelli più alti del 2012.
Le modifiche al balzello (che formalmente costituisce la componente servizi della nuova Iuc) dovrebbero essere inserite nel decreto Imu-Bankitalia domani all’esame del Senato. Ma l’incertezza, sia sul merito sia sul veicolo legislativo che sarà utilizzato, regna ancora sovrana. Di sicuro c’è che le aliquote aumenteranno. Per Baretta il governo è pronto a concedere la «possibilità per i Comuni di innalzare l’aliquota della Tasi per destinare le risorse «prioritariamente» all’aumento delle detrazioni con «lo scopo di alleggerire la pressione sulle fasce più deboli». E la conferma arriva dallo stesso Saccomanni, secondo cui lasciare ai sindaci libertà di stangata è «una valida opzione». L’ipotesi per ora più accreditata è quella di un aumento dell’1 per mille, che porterebbe l’aliquota massima sulla prima casa al 3,5 per mille e quella sulle seconde case all’11,6 per mille. Il costo aggiuntivo sarà di 1,5 miliardi per i Comuni, di 1,3 per il Tesoro. Ancora da sciogliere il nodo scadenze. Sembra scongiurata la possibilità di dover passare alla cassa il 16 gennaio, ma non è stato ancora deciso se stabilire date fisse o lasciare il compito agli enti locali. La sostanza è che, ad oggi, nessuno sa ancora quanto, quando e in quante rate si pagherà la nuova tassa.
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