Le posizioni restano distanti e la tensione alta. I vertici di Electrolux continuano a ribadire che l’azienda resterà in Italia e che i presunti tagli selvaggi alle buste paga non sono altro che ritocchi al costo del lavoro. Ma le rassicurazioni dell’ad Ernesto Ferrario, ieri, non hanno convinto nessuno. Né i presidenti delle Regioni coinvolte, né i sindacati e neanche Flavio Zanonato, che fino a qualche giorno fa parlava di «costi produttivi superiori a quelli dei nostri concorrenti», quasi a giustificare le necessità del gruppo svedese.
Poi, però, il Pd è salito sulle barricate, la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha chiesto le sue dimissioni e le voci di un inserimento di Zanonanto nella lista dei nomi tagliati dal rimpastino si sono fatte più intense. Al punto che lo stesso ministro, qualche giorno fa, ha voluto precisare: «Non sono inamovibile».
Così, ieri, il titolare dello Sviluppo economicoha deciso di fare la voce grossa. «La proposta di riorganizzazione che ci ha illustrato Electrolux non ci ha convinto», ha detto a bruciapelo subito dopo il vertice tra governo, sindacati e azienda. E il motivo è che Electrolux avrebbe parlato solo di «costo del lavoro», mentre noi «vogliamo parlare del piano industriale» e, soprattutto, di come «salvaguardare l’integrità dell’azienda». Perché, ha aggiunto, al tavolo è stato «chiarito che non esiste una soluzione Electrolux senza che si salvi Porcia» E a chi gli ha chiesto del problema degli stipendi, il ministro, che ha detto di aver scomodato pure l’ambasciatore svedese per risolvere la situazione, ha risposto senza pensarci due volte: «È stata citata la Polonia come riferimento», ma «se si scende agli stipendi polacchi chiudiamo tutte le industrie italiane».
Un muso duro che è piaciuto ai governatori. Anche alla Serracchiani, che Zanonato ha opportunamente coinvolto più volte nell’improvvisata conferenza stampa. «Oggi si è fatto un nuovo passo avanti. È emerso che la trattativa si fa solo con tutti e quattro gli stabilimenti», ha detto la presidente del Friuli Venezia Giulia, aggiungendo che «il tavolo è stato autorevole e importante e vi sono state poste le questioni che sono il nodo della vicenda». Ma sulla stessa lunghezza d’onda, in una unità che è stata definita molto importante, si sono trovati tutti i rappresentanti delle Regioni, dal governatore del veneto Zaia a quello dell’Emilia Romagna Errani fino all’assessore al Lavoro lombardo Aprea.
E al fianco di governo e regioni ci sono pure i sindacati. «Il piano che l’azienda ha presentato, centrato in assoluta prevalenza sulla riduzione dei costi del lavoro e condizionato dallo spettro di una delocalizzazione, non può essere accettato», ha detto il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra. «La proposta «non ci convince per nulla e rimane inaccettabile», ha detto anche la Cigl, per bocca del segretario confederale Elena Lattuada.
Di passi concreti, comunque, ieri non se ne sono fatti. L’unica novità è che la crisi dell’Electrolux è stata in qualche modo promossa a vertenza nazionale. Zanonato ha infatti annunciato un incontro a breve con il premier Letta. E ha già fissato la data del prossimo incontro, previsto per il 17 febbraio. La sintesi offerta dal comunicato ufficiale di governo e regioni, arrivato in tarda serata, è che «Electrolux accetta un confronto aperto e senza pregiudiziali sul piano industriale e sulle prospettive occupazionali per gli stabilimenti italiani su nessuno dei quali è stata presa alcuna decisione». Più fredde le dichiarazioni arrivate dall’ad Ferrario, secondo cui la società «andrà avanti, molto tranquillamente, sull’analisi del costo del lavoro e sulla sua riduzione». Il gruppo ha confermato la «disponibilità» ad andare avanti nel negoziato, ma il manager si è ben guardato dal commentare la dura presa di posizione di Zanonato: «Non ho sentito il suo commento».
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