mercoledì 15 gennaio 2014

I prezzi vanno sotto zero. In Italia non si compra più

La buona notizia è che il debito pubblico a dicembre dovrebbe scendere. Forse. Per il resto, dopo il raggio di luce arrivato lunedi, con la produzione industriale finalmente in crescita dopo 26 mesi, l’Italia è immediatamente ripiombata nel buio. Sul fronte dei consumi l’Istat ha certificato che il tasso d’inflazione medio annuo si è attestato nel 2013 all’1,2%, meno della metà di quello registrato nel 2012 (3%).

L’Istituto nazionale di statistica ha sottolineato che si tratta del livello più basso dal 2009, aggiungendo che «la dinamica dei prezzi al consumo nel 2013 riflette principalmente gli effetti della debolezza delle pressioni dal lato dei costi, in particolare degli input energetici, e quelli dell’intensa e prolungata contrazione della spesa per consumi delle famiglie». Una contrazione che ha praticamente neutralizzato anche l’aumento dell’Iva di ottobre, il cui impatto, ha spiegato l’Istat, è stato «parziale e modesto». È uno scenario dietro cui si nasconde lo spettro della deflazione, quando dalla frenata dei listini si passa alla loro discesa. Cosa che già avvenuta in alcune città, dove il carovita è andato sotto lo zero. È il caso di Livorno (-0,2% sull’anno), Venezia, Treviso e Palermo (per tutte e tre -0,1%).

A tradurre in comportamenti le cifre dei tecnici ci ha pensato la Coldiretti, secondo cui lo scorso anno «più di due italiani su tre (68 per cento) hanno ridotto la spesa o rimandato l’acquisto di capi d’abbigliamento e oltre la metà (53 per cento) ha detto addio a viaggi e vacanze e ai beni tecnologici».
Gli effetti della recessione, spiegano gli agricoltori, «hanno comportato una discesa dei consumi del 9% negli ultimi cinque anni. Nel 2013 hanno toccato il livello più basso dal 1997, con una riduzione del 2,3% rispetto all’anno precedente». Una sforbiciata che ha colpito anche le spese per l’alimentazione, con una riduzione che nei primi nove mesi dell’anno si è attestata al 3,9%. Un dato confermato anche dalla Cia, secondo cui «lo scorso anno per il cibo sono stati spesi 2,5 miliardi in meno».

E mentre la domanda interna va a picco i conti dello Stato continuano a non tornare. Ieri Bankitalia ha comunicato l’ennesima preoccupante doppietta del governo Letta su debito ed entrate. Il buco di bilancio delle amministrazioni pubbliche a novembre è aumentato di altri 18,7 miliardi, raggiungendo un nuovo massimo storico a 2.104,1 miliardi. Secondo il presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti, che si è fatto due conti, «la disastrosa» gestione del governo ha aggravato il ritmo di crescita del debito pubblico «al ritmo di 9 miliardi di euro al mese, facendo peggio di Monti».

Secondo l’analisi di Bankitalia l’aumento di novembre è «riconducibile soprattutto al fabbisogno del mese (6,9 miliardi) e all’aumento (11,5 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro». Disponibilità che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 59 miliardi e che il ministero dell’Economia ha accantonato per motivi (più probabilmente timori) non meglio specificati. Di sicuro, secondo Bankitalia, c’è che questa cifra dovrebbe ridursi molto a dicembre, quando Via Xx Settembre chiude il bilancio. Di qui la convinzione che il debito nell’ultimo mese dell’anno interrompa il suo trend crescente e scenda di qualche gradino. Resta comunque il fatto che oltre ai 24,6 miliardi di disponibilità aggiuntive ad appesantire il debito nei primi undici mesi dell’anno (114,6 miliardi) siano stati principalmente i 90,2 miliardi rappresentati dal fabbisogno delle amministrazioni pubbliche.
Come se non bastasse, e come si era capito anche dai dati dell’Economia di qualche giorno fa, da gennaio a novembre sono diminuite pure le entrate. I dato registrato da Bankitalia si è infatti attestato a 339,1 miliardi contro i 340,7 dello stesso periodo del 2012.

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