venerdì 10 gennaio 2014

Stangati sul mattone 38 volte

Il fisco, in Italia, non è mai stato troppo leggero. Ma una volta, almeno, era rassicurante. Quello era e quello rimaneva per anni, se non decenni. Stessa tassa, identico bollettino. Come l’Invim, ad esempio, nata nel 1972 e morta nel 2001. Oppure l’Ilor, l’imposta locale sui redditi, introdotta nel 1973 e in vigore fino al 1997. Uno quasi si affezionava al tributo, prendeva confidenza col balzello, programmava le spese.

Poi, è arrivato il tempo delle riforme della tassazione sulla casa e del federalismo fiscale. E la situazione è precipitata. Secondo Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno nonché presidente dell’Ifel (la fondazione dell’Anci), «dal 2011 a oggi le decisioni del governo in tema di fisco locale sono cambiate ben 38 volte». Ad aprire le danze fu Silvio Berlusconi nel 2008, abolendo l’Ici sull’abitazione principale, ma il vero fischio d’inizio risale al 2011, quando il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo in attuazione del federalismo fiscale, introdusse l’Imposta municipale unica. Da lì, la girandola è impazzita. Sia nella forma, sia nella sostanza. Lo stesso anno, dovendo soccorrere il Paese con mezzi freschi, il professore Mario Monti ha pensato bene di rimettere subito le mani sull’Imu, portando in colpo solo il gettito dai 9,2 miliardi dell’Ici alla cifra astronomica di 23,7 miliardi. Un capolavoro ottenuto con il Salva Italia, a colpi di specifici moltiplicatori delle rendite catastali, aumento sensibile delle aliquote (con la possibilità per i sindaci di alzarle o abbassarle entro una forbice stabilita) e reintroduzione dell’imposta anche sulla prima casa. Dopo il dl 201 del 2011 passano pochi mesi e la normativa viene di nuovo rivista. Il dl 16 del 2012, meglio noto come decreto semplificazioni, incamera durante l’esame parlamentare per la conversione in legge del provvedimento una serie di emendamenti che incidono sulla normativa. In particolare, vi sono novità sulla definizione di abitazione principale, sono previsti nuovi termini di pagamento ed è prevista la possibilità per i comuni di equiparare al trattamento fiscale dell’abitazione principale gli immobili di proprietà di determinate categorie di soggetti.
Il tempo di digerire le modifiche e, il 18 maggio del 2012, sulla materia interviene anche il ministero dell’Economia, con una circolare che, nel tentativo di sciogliere le questioni controverse, fornisce una serie di istruzioni interpretative che ridisegnano leggermente la norma. Dopo l’estate, il nodo si riapre e il quadro si ingarbuglia. I comuni lamentano problemi di minore gettito e di scarsa portata federalistica della nuova tassa. Così, nella legge di stabilità 2013, L. 228, la norma viene di nuovo riscritta prevedendo l’abolizione della quota di imposta riservata allo Stato, il 50% dell’aliquota ordinaria del 7,6 per mille, sulle seconde case. Una parte del gettito dello stato centrale, però, torna comunque indietro.

Nel frattempo, mentre in 12 mesi si potevano contare già 4 interventi per modificare l’Imu, il governo dei tecnici aveva pensato bene di mettere mano anche alla vecchia Tarsu/Tia, la tassa sui rifiuti. Il nuovo balzello si chiama Tares e viene introdotto sempre con il Salva Italia del dicembre 2011. Il tributo, nelle intenzioni, dovrebbe superare ed incorporare Tarsu e Tia, aumentando il peso dell’imposta fino a copertura totale del servizio di smaltimento rifiuti, prevedendo anche una maggiorazione per i servizi indivisibili dei comuni. Le modalità di calcolo delle nuove imposte sono però talmente complicato da rendere praticamente impossibile applicarle. Così, per il 2012 non se ne fa niente. Ma anche nel 2013 non va meglio, la norma resta cervellotica. Un emendamento alla legge di stabilità del dicembre 2012 ne prevede lo slittamento ad aprile. La scadenza viene poi spostate, con il dl 1/2013, a luglio. Il risultato è che ancora adesso molti italiani non hanno ancora pagato il saldo della maggiorazione Tares, in attesa di fantomatici bollettini precompilati che non tutti i comuni hanno spedito.

Si arriva così al governo Letta, nato con l’impegno di abolire le tasse sulla prima casa e rivedere tutta la tassazione sugli immobili. La situazione peggiora notevolmente. Prima dell’estate (dl 54) arriva il decreto che sospende la prima rata dell’Imu sulla prima casa. Poi, il 31 agosto, il governo vara il provvedimento che abolisce la prima rata. Per la seconda rata bisognerà aspettare dicembre, con il famoso decreto Imu-Bankitalia. La norma dispone l’abolizione della seconda rata, ma, con un colpo di genio, stabilisce anche che tutto l’extragettito dei comuni (aliquota superiore a quella ordinaria) debba essere pagato al 40% dai contribuenti. Nasce la cosiddetta mini Imu.
Nel frattempo, governo e parlamento si erano esercitati sulla nuova service tax. La legge di stabilita entra in parlamento con la Trise (inizialmente chiamata Taser), una super tassa che incorpora l’Imu e intriduce due nuove imposte: Tasi, per i servizi indivisibili, e Tari, per i rifiuti. La norma, però, piace poco. Il centrodestra propone la Tuc, ma alla fine a spuntarla è la Iuc, Imposta unica comunale, che contiene sempre Imu (tranne le prime case), Tasi e Tari (su tutte). Bene, ma non ci sono le detrazioni. Così, è storia di questi giorni, arriva anche la maggiorazione Tasi: aliquote aggiuntive che consentiranno ai comuni di reintrodurre gli sconti previsti dalla vecchia Imu. Finito? No, perché in parlamento c’è chi ha già proposto di ripartire da zero.

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