Ed è con queste premesse «muscolari» che il premier si è presentato a Palazzo Chigi a tarda sera per un Cdm dove è andato in scena il duello finale. Il vertice di governo è stato preceduto da una riunione ristretta e tesisissima tra lo stessa Letta, il vicepremier Angelino Alfano e il ministro dei Rapporti col parlamento Dario Franceschini. I tre sono entrati nella stanza scurissimi in volto. E le attese non sono state deluse. Chi era nei paraggi racconta di urla e furiosi litigi. Il premier avrebbe esordito annunciando che tutta l'attività dell'esecutivo resta in stand by: «Il Cdm non farà nulla fin quando non ci sarà un chiarimento definitivo. Non intendo vivacchiare, o si rilancia l'azione del governo o l'esperienza si chiude». In settimana ci sarà un discorso programmatico alle Camere, Letta chiederà la fiducia.
Tono di voce altissimo anche per il segretario del Pdl, che avrebbe accusato il Pd e Letta di voler scaricare sul centrodestra la responsabilità della crisi («Siete la solita sinistra») e ha chiesto come condizione irrinunciabile per andare avanti «una riforma costituzionale della giustizia che preveda anche la responsabilità civile dei magistrati». Non ci saranno, ha aggiunto Alfano, «chiarimenti per tirare a campare». Dura la replica di Franceschini, secondo cui «parlare di giustizia per il Pdl significa parlare dei problemi giudiziari del Cavaliere». Posizione condivisa anche da Letta che dopo aver ribadito ai ministri del Pdl «l'umiliazione» provocata all'Italia dalla decisione delle dimissioni in massa, avrebbe detto chiaro e tondo ad Alfano che «il Pdl si deve rassegnare sulla questione giustizia». Inutile a quel punto il tentativo di mediazione del ministro Quagliariello. Anche nel colloquio con il capo dello Stato Letta avrebbe ribadito la necessità di tenere distinte le questioni del governo dalla vicenda giudiziaria che coinvolge Berlusconi.
Ma Alfano al quel punto ha spostato il tiro anche sui temi economici: «Non ci possono essere ipocrisie, non potremmo restare al governo se si aumentassero le tasse e non si tagliassero le spese».
E le tasse, per ora, aumenteranno di sicuro. La paralisi dell'azione di governo chiesta da Letta provocherà infatti l'aumento dell'Iva previsto per martedì prossimo. Rincaro che potrebbe essere evitato solo da un improbabile Cdm straordinario oggi per varare un decreto che possa andare in Gazzetta ufficiale lunedì.
Anche se il decreto fosse stato approvato ieri sera, comunque, le tasse sarebbero aumentate lo stesso. Almeno stando alla bozza che era sul tavolo del Cdm. Per congelare l'aumento dell'Iva fino a gennaio, infatti, il governo non è riuscito a trovare copertura migliore dell'ennesima stangata sulla benzina. Un paradosso, se si considera che la preoccupazione principale relativa all'incremento dell'Iva riguardava proprio il prezzo dei carburanti, che attraverso i maggiori costi del trasporto su gomma (circa l'80% della merce in Italia viaggia su strada) si sarebbe abbattuto a cascata su tutta la filiera agricola e industriale provocando rincari su tutti i prodotti al dettaglio.
Ad anticipare parte del nuovo balzello, il cui peso sarà spalmato da qui al 2015, sarebbero principalmente le imprese. La bozza di decreto sul tavolo del consiglio dei ministri prevede infatti che le coperture immediate per il mancato rialzo dell'Iva ordinaria dal 21 al 22% arrivino dall'aumento dell'acconto dell'Ires e dell'Irap al 103%. In totale si tratterebbe di un maggiore esborso pari a 890 milioni, che gonfierà l'acconto che si versa a dicembre, con il meccanismo di calcolo percentuale applicato sugli importi che si sono versati con la dichiarazione di quest'anno. L'aumento vale solo per il 2013 e quindi, così come contabilizzato dal governo, società e imprenditori dovrebbero recuperare quanto versato in più rispetto al dovuto a partire dal prossimo giugno-luglio.
Tale buco sarebbe ampiamente coperto dall'aumento delle accise sulla benzina, che saranno in vigore però fino al 2015. Un modo per ammorbidire l'impatto complessivo che lascia però il forte sospetto sulla possibilità reale di tornare indietro, circostanza non peregrina, considerato che negli ultimi anni dagli incrementi «temporanei» delle accise non si è mai tornati indietro.
La bozza di decreto prevede un incremento di 2 centesimi al litro dell'accisa su benzina e gasolio a partire dall'entrata in vigore del decreto fino al 31 dicembre 2013. In termini assoluti, l'accisa sulla benzina passa così da 728,4 a 748,4 euro per mille litri, e quella del gasolio da 617,4 a 637,4 euro ogni mille litri. Nel 2014, però, si salirà di un nuovo gradino. Dal primo gennaio fino al 15 febbraio 2015 le aliquote saranno aumentate di 2,5 centesimi al litro. Il governo stima che dai rialzi deriverà un maggior gettito di 190 milioni nel 2013, di 950,6 milioni nel 2014, e nel 2015 di 117,3 milioni di euro.
E le brutte notizie non sono finite. Il governo intende anche lasciare mano libera alle regioni per ulteriori incrementi delle addizionali Irpef e Irap. Nella bozza del decreto si impone infatti agli enti territoriali sottoposti al piano di rientro di mantenere la massimizzazione delle maggiorazioni e, in caso di peggior risultato, di aumentare le imposte di loro competenza. Le risorse dovranno andare tutte a copertura della spesa sanitaria. Solo con cadenza annuale, in seguito alle verifiche, la Regione potrà ridurre le aliquote per l'anno successivo.
Gli unici tagli che per ora compaiono nel testo sono quelli da cui il governo conta di recuperare una parte delle risorse necessarie a riportare il rapporto deficit/pil dal 3,1 al 3%. «Al fine di consentire il rientro dallo scostamento degli obiettivi di contenimento dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni entro il limite definito in sede europea, per l'anno 2013», si legge nel testo, «le disponibilità di competenza e di cassa relative alle spese rimodulabili del bilancio dello Stato sono accantonate e rese indisponibili per ciascun ministero». L'effetto positivo atteso sull'indebitamento netto è indicato nella bozza a 415 milioni di euro.
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