domenica 15 settembre 2013

Il ricatto di Letta: se cado vi beccate l'Imu

«Se il governo cade, i decreti sull’Imu non verranno convertiti e quindi i cittadini dovranno pagare l’Imu». Fino ad ora aveva resistito alla tentazione, aveva lasciato che fossero i suoi colleghi di governo a lanciare il sasso. Alla fine, però, anche Enrico Letta ha deciso di scendere sul terreno della propaganda, utilizzando l’intramontabile e formidabile arma della tassa sulla casa come merce di scambio per puntellare il suo governo. Dopo giorni caotici e confusi in cui siamo passati repentinamente dall’euforia del «lasciateci lavorare perché la crisi è finita» al «lasciateci lavorare perché l’Italia è in bilico ed è rientrata nella lista europea dei cattivi», in vista dell’appuntamento cruciale di mercoledì, con il voto al Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi, il premier ha evidentemente deciso di giocare anche le ultime carte. A partire da quella più diretta e convincente: se il governo cade, torna l’Imu.

In realtà, la tassa è per ora andata via solo a metà. E tutto, considerato anche l’andamento del pil e dei conti pubblici, lascia pensare che completare l’operazione sarà un’impresa non semplice. Senza contare che dal 2014 l’imposta tornerà sotto il nome di service tax.
Ma il messaggio di Letta è chiaro. Chi staccherà la spina dovrà assumersi l’onere delle conseguenze. «Penso», ha spiegato dalla festa dell’Udc a Chianciano, «che nessuno si prenderà la responsabilità di mandare all’aria il governo perchè è una responsabilità troppo grossa e poi va spiegata agli italiani: bisogna spiegargli perché non si faranno tutte queste cose». Non solo il taglio dell’Imu, a cui tiene molto il Pdl, ma anche «l’intervento sul cuneo fiscale», tanto caro alle imprese, e «il decreto sulla scuola», fortemente voluto dal Pd e dai sindacati.
Se l’esecutivo non resterà in sella, non solo salterà tutto, ma l’Italia finirà commissariata dalla Ue. «Non ho dubbi che se il governo cade», ha minacciato Letta, «la legge di stabilità la scrivono a Bruxelles». Sortita, quest’ultima, un po’ al di sopra delle righe, al punto che anche il presidente di Palazzo Madama, Piero Grasso, non ha potuto evitare una tiratina di orecchie: «La legge di stabilità la faranno la Camera e il Senato».

Ma a caricare di minacciose profezie lo scenario di una possibile crisi di governo ci ha pensato anche Fabrizio Saccomanni da Vilnius, dove si è tenuta la due giorni dell’Ecofin, con i ministri dell’Economia dell’eurozona. «Non vale la pena interrompere il lavoro fatto finora», ha spiegato l’ex dg di Bankitalia insieme al suo vecchio capo, il governatore Ignazio Visco, «dobbiamo superare questa fase di incertezza, una crisi di governo al buio potrebbe dare tensioni sui mercati».
Anche senza crisi, però, la situazione non è così entusiasmante. Saccomanni va ripetendo da settimane che il tetto del 3% sarà rispettato a tutti i costi. Ma i dubbi su un’eccessiva oscillazione del deficit crescono soprattutto tra chi, facendo i conti in tasca al Tesoro, è convinto che l’abolizione dell’Imu e l’eventuale rinvio dell’aumento dell’Iva pesino troppo su quel 2,9% di deficit che prevede Bruxelles (e il governo) per il 2013. «I nostri conti sono sul filo», ha detto anche Letta da Chianciano. A peggiorare il quadro c’è poi il dato sul pil del secondo trimestre (-0,2%) e la consapevolezza che la ripresa, come ha avvertito ieri lo Visco, «sarà abbastanza lenta» anche a causa «dell’incertezza che si riflette su imprese e attività produttive». Siamo, ha spiegato il governatore di Bankitalia, «nella direzione verso l’uscita dalla recessione ma ci sarà un ritardo che non è di natura ciclica ma soprattutto di natura strutturale». Quanto alla disoccupazione, ha precisato, «seguirà con ritardo».
Lo stesso Saccomani, del resto, pur non mettendo in discussione il tetto imposto da Bruxelles, non esclude categoricamente qualche spiacevole sorpresa. Eventuali aggiustamenti sul deficit, ha spiegato senza entrare nel dettagli, «saranno «minimi e gestibili» all’interno della manutenzione del bilancio «con operazioni di finanza pubblica già programmate». Il ministro ha comunque smentito la necessità di una manovra bis e ha detto di non essere preoccupato per le nuove stime che dovranno essere inserite nella Nota di aggiornamento al Def che il governo dovrà presentare alle Camere entro il 20 settembre. Saccomani se l’è poi presa con la crisi politica che avrebbe «ritardato» il processo di dismissione degli immobili dello Stato. L’auspicio, compatibilmente con «le condizioni di mercato» è di riuscire «a fare qualcosa entro la fine dell’anno». 

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