mercoledì 25 settembre 2013

I fondi esteri convengono alle banche

I colpi della crisi si sono fatti sentire sulle tasche degli italiani. Nel 2012, secondo i dati di Bankitalia, la propensione al risparmio è scesa per le famiglie consumatrici al 7,9% rispetto all’8,4% del 2011 e al 9,1% del 2010. Di conseguenza, gli acquisti netti di attività finanziarie, sempre nel 2012, si sono attestati a 16 miliardi, il volume più basso dal 1995.

Eppure, malgrado la recessione non abbia ancora allentato la presa, il 2013 ha registrato un boom del risparmio gestito come non si vedeva da anni. Nel primo semestre la raccolta è schizzata a quota 41 miliardi. E ad agosto gli indici sono letteralmente decollati. Con un incremento di 5,4 miliardi, che ha portato il totale a 52 miliardi. Se il trend si conferma, hanno spiegato ieri da Assogestioni, il 2013 si candida a diventare il migliore anno in termini di raccolta complessiva dell’ultimo decennio.
Cosa è accaduto? Il fenomeno si può spiegare, in parte, con la distribuzione delle risorse depositate nei fondi. Come ha sottolineato il presidente di Assogestioni, Domenico Siniscalco, «in Italia il 25% dei risparmiatori detiene il 75% del patrimonio. Evidentemente, nonostante l’impatto drammatico della crisi, buona parte di questo 25% ne è uscito indenne».

Ma a provocare il cambio di passo, evidentemente, ci sono stati anche altri fattori. Da una parte il crollo dei rendimenti dei conti correnti e di deposito, dall’altra la paura che tra tasse e manovre correttive il governo torni a mettere le mani sui risparmi degli italiani. Non è un caso che a trainare la crescita delle somme gestite siano principalmente i fondi esteri, per la maggior parte domiciliati in Irlanda o a Lussemburgo. Quest’ultimi, infatti, hanno raccolto ad agosto oltre 2 miliardi (contro gli 1,2 degli italiani), portando la cifra complessiva rastrellata negli otto mesi a 30,6 miliardi (contro i 9,2 dei fondi italiani).
Il paradosso è che il risparmio gestito domiciliato fuori dai confini nazionali non è affatto al riparo dal fisco. Le nuove norme introdotte nel 2011 e 2012, infatti, equiparano la tassazione sia sulle plusvalenze sia sulla proprietà. Allo stesso tempo, però, non essendo soggetto alle regole stringenti di Bankitalia sul calcolo delle commissioni (che devono essere commisurate alle performance annuali), molti di questi prodotti hanno costi di gestione ben più alti dei fondi italiani. A partire da quelli che distribuiscono cedole (ultimamente molto richiesti), che permettono alle Sgr di modulare le commissioni su orizzonti più brevi. Chi ci guadagna veramente sono le società di gestione e le banche, che pagano meno tasse sugli incassi. Fenomeno non sfuggito agli ispettori del fisco, che negli ultimi mesi hanno acceso i riflettori su molti big del settore, tra cui Azimut, Fideuram e Mediolanum. Tutti e tre con percentuali di patrimonio promosso su fondi esteri intorno al 90% del totale. Cifra che scende solo di poco, intorno al 70%, per gli altri due colossi Unicredit e Generali.

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