sabato 7 settembre 2013

Letta parla, Saccomanni lo smentisce

A sentire Enrico Letta al summit di San Pietroburgo tra le 20 economie più grandi del pianeta non si sarebbe fatto altro che elogiare il grande lavoro fatto dall’Italia per uscire dalla crisi. «Negli altri G20», ha spiegato il premier, ci avevano dato i compiti a casa perché eravamo stati malandrini», ma ora «non ci prendiamo più bacchettate sulle dita, i compiti a casa li abbiamo fatti e ora c'è bisogno di vedere la terra promessa». E proseguendo sulla metafora scolastica Letta ha poi detto che «questo è stato il primo vertice del G20 senza l’Italia tra i sorvegliati speciali: abbiamo giocato a tutto campo senza stare dietro la lavagna». Non solo, il nostro Paese avrebbe anche ottenuto riconoscimenti ufficiali nel comunicato finale del vertice. Insomma, un successo pieno e completo.

 Se non fosse che poco dopo è arrivato Fabrizio Saccomanni, pure lui presente al summit, per spiegare che «gli impegni presi dall’Italia al G20 sul piano economico e sulle riforme saranno oggetto di monitoraggio nei prossimi mesi».
Impegni? Monitoraggio? A quanto sembra i complimenti all’Italia per gli sforzi fatti non hanno, almeno per ora, cambiato di molto la situazione. Nel documento allegato alle conclusioni del G20 si legge, in effetti, che il nostro Paese «ha compiuto buoni progressi sulla strada» delle «riforme strutturali», in particolare nei settori delle «pensioni, spending review, riforma del mercato del lavoro ed efficienza della Pa». Questo non significa, però, che il percorso sia concluso. Tutt’altro, i «grandi» non solo hanno chiesto all’Italia di «continuare» con le riforme, ma hanno anche sollecitato una serie di impegni che, con buona pace di Letta, somigliano tanto ai compiti a casa. Tra le promesse elencate dallo stesso premier e inserite, stando a quanto detto da Saccomanni, «liberamente» nell’action plan del G20 ci sono il pagamento di tutti i debiti della Pa, l’estensione dei fondi di garanzia, gli incentivi agli investimenti in capitale, «dismissioni del patrimonio pubblico»; la riduzione del cuneo fiscale per finire con la «semplificazione e il miglioramento della giustizia amministrativa e civile», e tante altre riforme.

Una serie di misure da realizzare il cui avanzamento sarà tenuto attentamente sotto controllo dai Paesi del G20. Anche perché il vertice, malgrado l’auspicio fatto da Letta in apertura, giovedì scorso, non è stato affatto quello della fine della crisi. Al summit non si è respirato quel clima di emergenza e di tensione che aveva tenuto banco a tutti gli incontri internazionali dei mesi scorsi. Ma i leader mondiali sono comunque convinti che questo non sia il momento di abbassare la guardia, perché la crisi è tutt’altro che finita. I rischi, soprattutto per il sistema bancario, restano elevati, e a preoccupare è anche la debolezza della ripresa in alcuni Paesi, guarda caso situati proprio nell’eurozona, dove le conseguenze della crisi del debito si fanno ancora sentire.
Che ci sia ancora molto da lavorare, del resto, pur mosso anche da considerazioni politiche che riguardano la possibile crisi di governo, lo ha ribadito anche Letta. «Ci sono tante cose da fare», ha detto il premier, «e c’è bisogno di un’Italia stabile da tutti i punti di vista, politico e finanziario».

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