L’Italia rischia di non raggiungere gli obiettivi fissati per il 2013. E non siamo noi di Libero, che mercoledì abbiamo paventato la nefasta ipotesi, a dirlo. Dopo l’euforia scaturita dalle ottimistiche previsioni di Confindustria, che ha annunciato senza troppe esitazioni la fine della crisi, ha riportare tutti con i piedi per terra ci ha pensato Mario Draghi, che dopo gli aiutini forniti sottobanco all’Italia per sgonfiare la tensione sullo spread non è davvero sospettabile di manovre a nostro danno.
L’avvertimento della Bce non è equivocabile. Nel bollettino mensile di settembre si legge che il peggioramento del fabbisogno dell’Italia, dovuto soprattutto al rimborso dei debiti verso le imprese, «mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento dell’obiettivo di disavanzo» al 2,9% del pil per il 2013. Nel dettaglio gli esperti di Francoforte, dopo aver ricordato l’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo inflitta negli anni scorsi, segnalano i dati preliminari di fine luglio, che indicavano un fabbisogno finanziario cumulato «di 51 miliardi di euro (3,3% del pil), in aumento da quasi 28 miliardi (1,8% pil) nello stesso periodo del 2012». Gli stessi dati sono poi peggiorati ad agosto, con oltre 60 miliardi di fabbisogno cumulato, quasi il doppio dello stesso periodo del 2012.
Comprensibile dunque la preoccupazione degli uomini di Draghi, che non riguarda, ovviamente, solo l’Italia. La Bce invita infatti tutti i governi a «non vanificare gli sforzi già compiuti allo scopo di ridurre il disavanso pubblico e riportare il rapporto debito/pil su un percorso discendente», invitando i Paesi dell’area dell’euro a «continuare a portare avanti il proprio programma di riforme». Resta il fatto che complessivamente il pil europeo dovrebbe registrare «un calo dello 0,4% nel 2013», mentre l’Italia si avvia a chiudere l’anno con un passivo tra l’1,6 e l’1,8%, ben al di sopra delle previsioni del governo.
A rovinare la festa del governo, che il 20 settembre dovrà inevitabilmente alzare il velo sullo stato di salute dei conti pubblici presentando la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, sono arrivati anche i dati dell’Istat sulla produzione di luglio. La doccia è letteralmente gelata. Con un inaspettato calo dell’1,1% su giugno e del 4,3% sul 2012, la manifattura e l’industria italiana sono tornate ai livelli dell’aprile 2009, quattro anni fa. I leggeri rialzi di maggio e giugno, che avevano lasciato intravedere uno spiraglio e che avevano indotto analisti e operatori del settore a prevedere anche per luglio un terzo aumento, seppur frazionale, sono stati brutalmente annullati. Anche il governo è stato costretto ad accusare il colpo. Il dato, ha ammesso il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, «è peggiore delle attese». Quanto all’allarme della Bce, l’ex presidente dell’Istat spiega che la preoccupazione di Draghi «è condivisa dal governo e da tutto il Paese». Mentre il viceministro dell’Economia, Piero Fassina, assicura che l’esecutivo sta facendo tutti gli sforzi necessari per mantenere il deficit nei parametri stabiliti, avvertendo, però, che «i conti di quest’anno risentiranno molto della forte contrazione del pil». Lo scenario di una possibile, ulteriore correzione dei conti in corsa con altri interventi fiscali, insomma, si fa sempre più concreto.
I dati negativi non sorprendono più di tanto la Cgil. «Parlare di ripresa», sentenzia Susanna Camusso, «è ottimismo immotivato». Al di là degli annunci, le fa eco il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, «imprese e famiglie restano ancora in attesa». Ed è difficile dire per quanto. L’associazione dei commercianti, malgrado la frenata del calo nell’ultimo trimestre, prevede consumi al palo per tutto il 2014. A svuotare le tasche degli italiani, oltre alle tasse, ci penseranno anche le spese destinate a beni e servizi obbligati (abitazione, sanità, assicurazioni, carburanti e servizi finanziari), più che raddoppiate negli ultimi 20 anni. Nel 2013, spiega il direttore generale di Confcommercio, Mariano Bella, «la somma pro capite per le spese obbligate è di oltre 6.500 euro a fronte dei 2.700 euro che si spendevano nel 1992».
Il blocco dei consumi è confermato anche da Nomisma, che sottolinea l’assoluta fragilità di un ciclo economico che non può affidarsi alla domanda interna. In questo contesto, spiega il capoeconomista Sergio De Nardis, «ogni colpo di freno sull’export produce una caduta della dinamica produttiva».
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