Per tentare scaramanticamente di allungare la vita del governo Enrico Letta ha addirittura chiesto a Obama di inserire in agenda un incontro a Washington per il 17 ottobre. Quella negli States doveva essere la trasferta dell’orgoglio italiano. Ed è invece diventato il viaggio della speranza. Il premier ha dedicato la maggior parte della conferenza stampa di ieri a New York a mandare messaggi in Italia. Il tentativo è quello di coinvolgere il Capo dello Stato in una disperata mediazione con il Pdl, i cui capigruppo di Camera e Senato, stanno però già raccogliendo le adesioni dei parlamentari alle dimissioni in massa, per tenere in piedi le larghe intese. Letta spera che la discesa in campo di Giorgio Napolitano, che ieri ha sparato a zero contro le mosse del Cavaliere, possa in qualche modo riportare l’ordine. E prima di partire dagli Stati Uniti, rifiutandosi di parlare di dimissioni o altre maggioranze, si è detto «certo» che riuscirò a «convincere tutti sulla corretta priorità dei problemi in agenda».
«Il principio muoia Sansone con tutti i filistei non conviene a nessuno, nemmeno a Berlusconi. E sarebbe il disastro dell’Italia», ha detto il presidente del Consiglio, spiegando che oggi, appena rientrato in Italia, chiederà una verifica «davanti ai cittadini italiani, non in stanze chiuse». In realtà, stando al timing illustrato dallo stesso Letta, il primo confronto avverrà proprio sul Colle, dove le stanze, c’è da scommetterlo, saranno ben chiuse. «Ho chiesto al capo dello Stato di ricevermi», ha detto, perché «voglio, insieme al presidente Napolitano, discutere e valutare le modalità con le quali andare a chiedere un chiarimento assolutamente indispensabile sia nel governo, sia in Parlamento».
L’idea è quella di arrivare ad un voto di fiducia prima dell’appuntamento del 4 ottobre con la decadenza di Silvio Berlusconi al Senato. Ma la strada è tutta in salita. Per un verso Letta si è sintonizzato sulla linea del Quirinale. «Voglio esprimere profonda condivisione con le parole del Capo dello Stato», ha detto, aggiungendo che l’annuncio delle dimissioni dei parlamentari Pdl mentre il premier si trovava all’Assemblea generale delle Nazioni unite è stata «un’umiliazione per l’Italia».
Poi Letta ha spiegato che in Italia «non c’è alcun colpo di Stato» e parlare di golpe è assolutamente fuori luogo.
Detto questo, il premier sembra pronto ad utilizzare anche altri strumenti per far rientrare lo strappo. Oltre all’incontro con Napolitano, l’altro appuntamento decisivo di oggi è il Consiglio dei ministri.
Sul tavolo c’è la manovrina per riportare il rapporto deficit/pil sotto il 3%, il rifinanziamento delle missioni di guerra, un’altra tranche di copertura per la Cig in deroga, ma soprattutto l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, a cui potrebbe essere aggrappata l’ultima speranza per superare la crisi di governo. «Parleremo dell’incremento dell’Iva nel corso del Consiglio dei ministri e continueremo a farlo poi nei prossimi tre mesi in cui discuteremo della riforma generale dei tassi relativi perché occorre fare ordine su questo argomento», si è limitato a dire Letta. nelle ultime ore, però, come ha anche anticipato lo stesso ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, sembrano crescere le possibilità che il governo abbia miracolosamente trovato il miliardo necessario a sterilizzare l’aumento almeno fino a dicembre.
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