mercoledì 2 ottobre 2013

L'unico obiettivo di Letta: spaccare il Pdl

Pochi voti, incerti e inaffidabili. È questo l'incubo di Enrico Letta a poche ore da un voto di fiducia ancora carico di incognite ed imprevisti. Lo scenario peggiore per il premier sarebbe quello di incassare il sostegno di una maggioranza risicata, che lo costringa a restare in sella, appeso ad un gruppetto di senatori pronti a sfilarsi al primo refolo di vento. Ma anche un ricompattamento a sorpresa di tutto il Pdl a suo favore, per quanto preferibile alla vittoria di misura, non è visto di buon occhio. I corridoi di Palazzo Chigi resterebbero infatti disseminati di mine pronte ad esplodere da un momento all'altro.

È al tentativo di scongiurare queste ipotesi che Letta ha lavorato tutta la giornata di ieri e continuerà a lavorare oggi fino all'ultimo minuto utile prima del voto in aula, che dovrebbe arrivare per la tarda mattinata.
Incontri e telefonate si sono susseguiti ieri senza sosta. Intervallati da un pranzo con Matteo Renzi, il quale avrebbe assicurato la lealtà dei suoi in cambio di un lasciapassare per la segreteria del partito. Ma la confusione del momento non concede grandi margini di garanzia, considerando che la situazione si evolve ora dopo ora. Così, parallelamente, Letta si sta muovendo anche su altri fronti. Intanto, il capo del governo sta mettendo a punto con attenzione certosina il testo dell'intervento che dovrà fare in Senato. L'obiettivo primario del presidente del Consiglio, alimentato dalle voci di 40 senatori del centrodestra pronti a votare la fiducia, è quello di insinuarsi nelle vistose crepe del Pdl e favorirne una consistente e irreversibile spaccatura. Risultato difficilmente ottenibile attraverso trattative e contatti con gli ambienti del dissenso pidiellino, che pure ci sono. Né, tantomeno, è verosimile che l'operazione possa essere realizzata con l'aiuto di Angelino Alfano, che, invece, sta impiegando il suo tempo a tentare una ricucitura dell'ultim'ora sulla fiducia a Letta.

L'intervento in aula potrebbe, invece, rivelarsi un'arma efficace per costringere il partito del Cavaliere a frantumarsi. I contenuti del discorso sono stati concordati e discussi anche col Quirinale, dove Letta si è recato ieri mattina insieme al ministro dei Rapporti col parlamento, Dario Franceschini. «Nell'incontro si è configurato con il presidente del Consiglio il percorso più limpido e lineare sulla base di dichiarazioni politico-programmatiche che consentano una chiarificazione piena delle rispettive posizioni politiche e possano avere per sbocco un impegno non precario di sviluppo dell'azione di governo dalle prime scadenze più vicine agli obiettivi da perseguire nel 2014», si legge in un comunicato del Colle. E un punto chiave delle dichiarazioni politico programmatiche sarà, come dice Franceschini, «il principio di netta e totale separazione tra le vicende di governo e le procedure in corso nella giunta delle autorizzazioni del Senato, nell'irrinunciabile rispetto delle regole di uno stato di diritto». Insomma, linea dura sui guai giudiziari di Berlusconi e sulla questione dell'agibilità politica del Cavaliere, nessun compromesso sui temi della giustizia o sulla retroattività della legge Severino. Nel discorso, spiega anche il candidato alla segreteria del Pd, Gianni Cuperlo, «sarà chiara la netta separazione tra le vicende personali di Silvio Berlusconi e la vicenda del governo». Letta su questo «non farà sconti», ribadisce pure il segretario del Pd, Guglielmo Epifani.
Ed in quest'ottica va letta anche la mossa di ieri sera, con il premier che ha deciso di respingere in blocco le dimissioni dei ministri del Pdl. Un segnale forte, rivolto principalmente a chi, nella squadra di governo, sta vivendo con maggiore difficoltà lo strappo del Cavaliere. Il messaggio è chiaro e si può tranquillamente tradurre in un invito a lasciare Berlusconi al suo destino, proseguendo invece nel proprio impegno nel governo delle larghe intese.

Intanto, dopo l'incoraggiamento di Angela Merkel, l'esercito dei sostenitori stranieri di Letta si allarga. Ieri, al fianco del premier sono scesi il commissario europeo Olli Rehn, il presidente del parlamento europeo Martin Schulz e il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria. Tutti convinti che l'instabilità politica del nostro Paese sia una minaccia per la fragile ripresa appena cominciata. «Non solo per l'Italia ma per tutta la zona euro», ha detto Rehn. Mentre per Schulz una caduta del governo «creerebbe enormi turbolenze politiche e sui mercati finanziari». L'ex capogruppo dei socialdemocratici europei non ha ovviamente risparmiato le stoccate politiche al Cavaliere, con cui nel 2003 aveva avuto un violento diverbio pubblico, proprio sui temi della giustizia, durante l'insediamento di Berlusconi alla presidenza di turno del Consiglio Ue. «Non si può», ha avvertito Schulz, forte anche del suo incarico istituzionale, «aprire la crisi «per interessi particolari». In uno stato di diritto, ha aggiunto, «la legge è uguale per tutti» e chi voterà a sostegno del governo «non sarà né un traditore né un eroe, ma un deputato e un senatore responsabile».
Ma per puntellare Letta si è scomodata persino la Casa Bianca: «Gli Stati Uniti condividono l'impegno del governo» e «confidano nel fatto che i leader italiani riusciranno a gestire l'attuale situazione politica nel migliore interesse dell'Italia e della stabilità dell'Eurozona».

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