Ci risiamo. La roulette del contante si prepara a girare per l’ennesima volta. Per l’esattezza, la sesta in sei anni anni. Ad annunciare la novità, come non bastassero i numerosi bocconi indigesti già contenuti nella legge di stabilità, è stato ieri il ministro dell’Economia. «Certamente misure che rafforzano la tracciabilità sono importanti», ha detto Fabrizio Saccomanni, intervenendo al Senato davanti alle commissioni Bilancio e Finanze, «è anche necessario prevedere una riduzione del ruolo del contante nei pagamenti. È un punto su cui l’Italia è ancora indietro e noi vogliamo intervenire».
L’idea di ridurre l’utilizzo del cash in chiave antievasione è un vecchio pallino di Bankitalia, dove il ministro faceva il direttore generale fino allo scorso inverno, ma la sortita di Saccomanni non può non sorprendere. Non fosse altro perché solo un anno fa il governo dei professori ha applicato un drastico giro di vite portando il limite dei pagamenti in contante a 1.000 euro, con un estensione del divieto che ha colpito anche i pensionati, costretti ad aprire un conto corrente per ricevere gli assegni previdenziali oltre tale soglie.
Non solo. La decisione dell’ex premier Mario Monti arrivava poi dopo un saliscendi che ha visto il tetto scendere da 12.500 a 5mila (2007), poi risalire a 12.500 (2008), poi di nuovo scendere a 5mila (2010) e 2.500 (2011), fino al limite attuale. Un’altalena dai dubbi effetti anti-evasione, ma dai sicuri effetti negativi sulla vita dei cittadini, al punto che lo scorso luglio, senza che nessuno dal governo abbia mai smentito l’iniziativa, il sottosegretario allo Sviluppo, Simona Vicari, aveva annunciato l’avvio di uno studio per riportare l’asticella a 3mila euro.
Un fulmine a ciel sereno, dunque, quello lanciato dal ministro dell’Economia, che come primo effetto ha ottenuto l’immediato ricompattamento del Pdl. Il primo a insorgere è stato Angelino Alfano. «Il collega Saccomanni ritiene di intervenire per ridurre l’uso del contante. Noi la pensiamo all’opposto di lui», ha scritto di getto il vicepremier in un tweet. Non si è fatto attendere il sostegno di Maurizio Gasparri. «Alfano ha ragione. Saccomanni dice delle sciocchezze», ha tuonato senza mezzi termini il vicepresidente del Senato, aggiungendo che il ministro dell’Economia «parla da burocrate scollegato dalla realtà e dimostra ancora una volta tutta la sua inadeguatezza». E dal governo, oltre all’opposizione scontata della Vicari, è arrivato pure il no di Jole Santelli, sottosegretario al Lavoro, che definisce «senza senso» la sortita dell’ex dg di Bankirtalia.
Una pioggia di critiche a cui in serata si sono aggiunte anche quelle della Lega, che dopo le audizioni della Corte dei Conti e di Bankitalia hanno deciso di presentare una mozione di sfiducia contro il ministro per le mancate coperture nella legge di stabilità.
Davanti alle commissioni del Senato Saccomanni ha però difeso il suo provvedimento, sostenendo che contiene «correzioni strutturali di gran lunga inferiori a quelle che hanno interessato il biennio 2012-2013». Quanto alle tasse, il ministro ha ribadito la storiella della Tasi, che sarebbe inferiore alla somma di Imu e Tares, dimenticando che quest’anno l’Imu non si è pagata e che i Comuni possono far salire il bottino da 3,7 a 9 miliardi complessivi. Saccomanni ha poi spiegato di non escludere un ritorno delle detrazioni sulla casa, il che, però, per lasciare i saldi invariati, significherebbe inevitabilmente aumentare l’aliquota di base. Il sentiero, ha ammesso comunque il ministro, «è stretto, non ci sono soluzioni semplici per concedere sgravi fiscali più ampi». Il governo, tuttavia, è disponibile a discutere con il Parlamento «l’allocazione delle risorse del cuneo per esempio per favorire le famiglie più numerose». Deve però essere chiaro, ha avvertito Saccomanni, che eventuali rischi agli obiettivi di bilancio sarebbero rappresentati da «un’interruzione delle politiche di risanamento, da un processo non sostenuto di riforme strutturali e dal rischio di instabilità politica». L’ottimismo di qualche settimana fa sembra scomparso. Il pil del 2013 è stato nuovamente rivisto al ribasso (-1,8%), come da tempo suggeriscono tutti i principali organismi nazionali e internazionali. Mentre il rientro del deficit al 3%, previsto per quest’anno, è un passaggio «essenziale» ma «non sufficiente», considerato che «il disavanzo strutturale deve tendere verso il pareggio».
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