mercoledì 9 ottobre 2013

Il Pd rinuncia al ritorno dell'Imu. Ora ci prova con la Service tax

Il trucco c’è. E si vede. La «nuova» maggioranza a trazione Pd non ha alcuna intenzione di mollare la presa sul fronte delle tasse. E gli sviluppi di ieri sull’emendamento per riaprire il cantiere dell’Imu sulla prima casa, con la marcia indietro del partito di Guglielmo Epifani, indicano chiaramente quali sorprese dovranno aspettarsi i contribuenti italiani.

Ieri sul dibattito in corso nelle commissioni Bilancio e Finanze della Camera sono piovute le numerose simulazioni sull’impatto della proposta di limitare l’esenzione dell’imposta alle rendite sotto i 750 euro. Studi che hanno sgombrato il campo dalla favola di una norma volta a colpire solo le case di lusso. Secondo le ultime rilevazioni effettuate, dati alla mano, dal servizio territoriale della Uil la mossa del Pd andrebbe a colpire abitazioni civili (A/2) di 84 mq a Roma, di 73 a Bologna, di 77 a Torino e Milano, di 88 a Genova. Metrature che è obiettivamente difficile considerare appannaggio delle classi più abbienti. A dare un’idea della platea colpita ci ha poi pensato lo stesso ministero dell’Economia, che in uno studio di agosto attribuiva la rendita sopra i 750 euro a 4,6 milioni di case su oltre 19 milioni di alloggi.

Ma non è stata l’evidente stortura della modifica al decreto Imu a convincere il Pd a ritirare l’emendamento. Né le dichiarazioni di guerra del centrodestra. «Una proposta talmente assurda», ha tuonato il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, «da far tornare alla mente i tempi eroici della rivoluzione bolscevica, quando i russi erano costretti alla coabitazione forzata».
Ad annunciare la decisione è stato il presidente democrat della commissione Bilancio, Francesco Boccia. Il ritiro è stato poi formalizzato dal capogruppo del Pd Maino Marchi, il quale ha anche spiegato le ragioni del contrordine compagni. «Il governo», ha detto, «si è impegnato per altri provvedimenti sulla cassa integrazione e ci sono state assicurazioni sul deficit-Pil al 3%». Ma soprattutto, ha proseguito, sono arrivate garanzie «sulla service tax, che si baserà su una rilevante componente patrimoniale oltre che su una una parte sui servizi».

A confermare il patto tra governo e Pd ci ha pensato lo stesso sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, ex sindacalista del Pd, che, più o meno nelle stesse ore, ha spiegato che «la service tax è progressiva e nella legge di stabilità affronteremo l’applicazione pratica di questa nuova tassa». Concetto ribadito anche dal ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, ex portavoce del Pd. La scelta di ritirare l’emendamento, ha spiegato, «non vuol dire non lavorare su un obiettivo di equità da inserire nella service tax».
Al di là della posizione dei montiani di scelta civica, che coerentemente con le posizioni del loro leader, hanno deciso di non ritirare l’emendamento, lo scenario che si va prefigurando è abbastanza chiaro. Quella  «rilevante componente patrimoniale» sottolineata dal capogruppo Marchi significa semplicemente che il governo ha promesso al Pd di applicare lo stesso criterio selettivo ipotizzato per l’Imu alla nuova service tax. A questo proposito è utile andare a guardare le simulazioni effettuate nello studio dell’Economia sulla riforma della tassazione immobiliare, in cui è contenuta buona parte delle ipotesi circolate negli ultimi mesi, compresa quella formulata nell’emendamento ritirato ieri. Lì è già nero su bianco la proposta di una service tax, che includerebbe l’Imu sulla prima casa e la maggiorazione Tares, al 2,5 per mille (rispetto al 4 dell’Imu), con esenzioni solo per i redditi bassissimi e un gettito previsto di 4,3 miliardi. In più, gli italiani dovranno pagare la tassa sui rifiuti (che resterebbe fuori dalla service tax) e, ovviamente, l’Imu sulle seconde case.

Accanto alla nuova stangata, il governo continua a promettere interventi sostanziosi sul costo del lavoro. «Saranno il cuore della manovra», ha spiegato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, al termine del vertice a Palazzo Chigi. Anche se, ha spiegato il leader della Uil, Luigi Angeletti, «il governo non ha dato alcuna cifra e questo non è un buon segno». Mentre il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, sostiene che nella legge di stabilità che sarà varata il 15 ottobre ci sarà addirittura «un’inversione di tendenza del debito» con le privatizzazioni e «il deficit/pil ben sotto il 3%».

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