domenica 27 ottobre 2013

Fine anno col botto: 28 scadenze fiscali per oltre 76 miliardi

C’è grande fermento in questi giorni nei partiti di maggioranza. Il Pdl è tormentato dalle divisioni interne, con una caotica guerriglia in atto tra lealisti, alfaniani, scissionisti, falchi, colombe e chi più ne ha più ne metta. Sullo sfondo, si avvicina l’appuntamento al Senato per il voto sulla decadenza parlamentare di Silvio Berlusconi, che nel frattempo ha azzerato il partito e riesumato Forza Italia.

Le cose non vanno meglio dalle parti del Pd. Gli ambienti governativi sono costantemente alle prese con il pallottoliere parlamentare, per verificare ogni giorno se l’esecutivo ha i numeri sufficienti per rimanere in vita. Per il resto i riflettori sono tutti puntati sulle primarie e sulle mosse del nuovo uomo della provvidenza che risponde al nome di Matteo Renzi. Anche qui con coltelli e stracci che volano senza soluzione di continuità.
Pure dalle parti di Scelta civica c’è grande fibrillazione. Malgrado le dimensioni ridotte della formazione fondata dall’ex premier Mario Monti, frammentazioni, spaccature e scissioni si consumano giorno dopo giorno.

Tutti, insomma, sono troppo indaffarati per potersi preoccupare di quello che sta per succedere nei prossimi giorni. E cioè l’arrivo dell’ennesima valanga di tasse che pioverà sulle teste dei contribuenti italiani. Il macigno, secondo l’analisi effettuata dalla Cgia di Mestre, è formato da ben 28 scadenze fiscali. Si tratta di adempimenti che scatteranno tra novembre e dicembre che porteranno nelle casse di Stato ed enti locali qualcosa come 76 miliardi di euro.
Un conto da cui sono state escluse le cifre riguardanti i versamenti relativi all’ultima rata della Tares (la nuova tassa sui rifiuti) e i contributi Inps a carico delle imprese e dei dipendenti.

La mazzata più dura è quella che colpirà le imprese. Secondo le stime della Cgia, l’imposta che richiederà lo sforzo finanziario più importante sarà infatti l’Iva. Solo per questa voce le aziende dovranno versare all’Erario 26,5 miliardi di euro. Un bottino gonfiato dall’incremento dell’aliquota ordinaria dal 21 al 22% scattato dal primo ottobre, che inizierà a dare i suoi frutti dal mese di novembre.
Poi c’è l’acconto Ires, vale a dire l’imposta sul reddito delle società di capitali. Un salasso che garantirà alle casse dello Stato altri 16,9 miliardi di euro. Poco più sotto troviamo il pagamento dell’acconto Irap (Imposta regionale sulle attività produttive), che porterà 11,6 miliardi di euro di gettito.
Le altre scadenze che gli imprenditori dovranno onorare sono le ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti del settore privato e quelle riferite ai lavoratori autonomi (pari a 12 miliardi di euro), gli acconti Irpef (4,8 miliardi) e il pagamento della seconda rata dell’Imu (4,4 miliardi).

In tutti i casi, tranne l’Imposta municipale unica, sulla somma complessiva da pagare c’è lo zampino dell’effetto Letta. Il dl del giugno 2013, il famoso decreto del Fare, ha infatti stabilito che l’aumento dell’acconto Irpef passa, da quest’anno e per sempre, dal 99 al 100%. Per quanto riguarda l’acconto Ires, invece, solo per il 2013 ci sarà un incremento dal 100 al 101%. Un balzo che rischia di schiacciare le imprese più piccole, considerato che il pagamento della prima rata non è stato interessato dall’aumento e che, quindi, il maggiore esborso si farà sentire con più forze con la scadenza di novembre. Non solo. Anche l’acconto Irap ha subito un aumento di un punto percentuale.

Le simulazioni effettuate dalla Cgia fanno tremare le vene ai polsi.
Per un commerciante senza dipendenti, un negozio di 71 metri quadrati e 32mila euro di reddito la stangata tra novembre e dicembre sarà di 11.563 euro. Praticamente un terzo dei guadagni di un anno.
Ancora di più, in percentuale, pagherà una società di persone con due soci e 4 dipendenti, un capannone di 300 metri quadrati e un reddito di 80mila euro. In questo caso i pagamenti negli ultimi due mesi dell’anno ammontano a 32.359 euro.
Più si sale, più la situazione peggiora. Una società di capitali con due soci lavoranti e 10 dipendenti, un capannone di 800 metri quadrati e un reddito di 90mila euro l’anno dovrà lasciare al fisco, da qui a Natale, ben 54.561 euro.
Un colpo devastante e forse fatale per molti piccoli imprenditori di cui però nessuno, tra scissioni e primarie, potrà avere il tempo di occuparsi. Almeno fino alla prossima campagna elettorale. Buon fisco a tutti.

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