La Costituzione è sacra, ma solo quando fa comodo. Hanno combattuto con le unghie e con i denti per quasi due anni contro la Fiat di Sergio Marchionne e il cosiddetto modello Pomigliano per ottenere il diritto di rappresentanza sindacale anche senza aver firmato il contratto collettivo. Hanno presentato decine di ricorsi nei tribunali di mezza Italia. Si sono rivolti persino alla Consulta, riuscendo a far dichiarare incostituzionale un pezzo di quello Statuto del 1970 venerato come una Bibbia da tutti i lavoratori. Ma quando non è la Fiom ad essere messa alla porta il discorso cambia. E di molto.
Il clamoroso voltafaccia della Cgil, a soli due mesi dalla sentenza della Corte costituzionale che ha riammesso nelle fabbriche del Lingotto i delegati del sindacato rosso, è avvenuto in un piccolo paese dell’avellinese.
Si tratta di Ariano Irpino, dove le delegazioni provinciali delle sigle sindacali sono impegnate in una delicata vertenza con l’azienda di trasporto pubblico locale, la Amu spa (Azienda mobilità ufitana), che da anni naviga in cattive acque con bilanci in profondo rosso. Le dimissioni di 11 consiglieri comunali e il commissariamento dell’ente avvenuto l’11 settembre scorso hanno fatto precipitare la situazione.
Il delegato prefettizio, Elvira Nuzzolo, ha infatti deciso di avviare la cessione delle quote dell’Amu spa, detenute interamente dal Comune. Preso atto dell’iniziativa del commissario, i vertici dell’azienda hanno indetto lo stato di crisi e convocato subito per il 2 ottobre i rappresentanti dei lavoratori, ovvero Cgil, Cisl, Uil, le Rsu e il sindacato autonomo Fast-Confsal.
Ed ecco che succede l’impensabile. Alla direzione dell’Amu il 30 settembre arriva un fax in cui si legge che «le segreterie provinciali di Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil Trasporti non parteciperanno all’incontro». Motivo? «Tra i soggetti convocati figura anche la Fast-Confsal, sindacato non firmatario di contratto». Se non fosse chiaro, l’azienda è «invitata a fissare un incontro con la sola presenza delle segreterie provinciali Cgil, Cisl e Uil». Poi, nel giro di poche ore, i tre ci ripensano parzialmente, spiegando in un altro fax che andranno, unitariamente alle Rsu, ma «senza la presenza di altre organizzazioni sindacali».
All’incontro del 23 ottobre Cgil e compagnia si presentano, ma appena vedono il collega della Fast alzano i tacchi e se ne vanno, malgrado la riunione avesse come ordine del giorno «lo stato di crisi» dell’Amu. L’azienda, a quel punto, continua l’incontro con il solo rappresentante del sindacato autonomo non prima, però, di aver chiarito, come si legge nel verbale, di «non ritenere legittima la richiesta delle organizzazioni sindacali» proprio sulla base della sentenza della Consulta dello scorso luglio, che «ha sancito l’incostituzionalità dell’esclusione dei sindacati» dai tavoli negoziali, così come invece preteso da Cgil, Cisl e Uil.
E non è finita. In barba alla battaglia condotta sullo stesso principio dai metalmeccanici del sindacato rosso, la decisione dell’azienda viene addirittura considerata una feroce provocazione. Per giustificare agli iscritti il rifiuto di negoziare con l’Amu le iniziative per salvare l’azienda, tra cui prepensionamenti e contratti di solidarietà, le tre sigle motivano la rottura con «la condotta inopportuna ed irrispettosa» dei vertici della società, che hanno voluto «strumentalizzare l’incontro facendo trovare al tavolo una sigla autonoma». Altro che Costituzione, diritti inviolabili, democrazia sindacale, regole di rappresentanza. La presenza della Fast, scrivono Cgil, Cisl e Uil in una nota, «è inusuale e foriera di prevaricazioni nei confronti dei lavoratori».
La cosa paradossale è che mentre la Fiom-Cgil non ha firmato il contratto di Pomigliano contestandone i contenuti, Fast-Confsal, anche volendo, quello del trasporto locale non avrebbe mai potuto firmarlo. Il sindacato è nato infatti solo alla fine degli anni ’90, più di 10 anni dopo la sigla del Ccnl degli autoferrotranvieri.
© Libero