Meno tasse, più concorrenza. Era questa la rivoluzionaria idea balzata in testa a Giancarlo Galan, le cui velleità sono state prontamente impallinate ieri in Commissione cultura della Camera. Con il placet e il sostegno diretto, denuncia l’esponente del Pdl, del ministero dell’Economia.
L’ex governatore del Veneto per una volta aveva trovato il modo di lasciare i balzelli fuori dalla porta. Ottenendo pure l’inconsueto risultato di eliminare una distorsione del mercato. La proposta, contenuta in un emendamento, riguardava la sostituzione di una parte delle coperture fiscali previste dal decreto scuola (che dispone 69mila nuove assunzioni in tre anni per una spesa di circa 500 milioni l’anno fino al 2017) con entrate non provenienti dalle tasche dei contribuenti.
Nel dettaglio, al posto dell’incremento delle accise su birra e alcolici, un aumento già in vigore dal 10 ottobre che costa ai contribuenti e rischia di mettere in ginocchio un comparto che conta oltre 500 produttori, il presidente della Commissione cultura nonché relatore del provvedimento aveva pensato di assoggettare all’Iva il segmento business delle spedizioni di Poste Italiane, così come avviene in tutta Europa. Attualmente, infatti, con una forzatura introdotta nel decreto del 2011 sulla liberalizzazione del settore, nel perimetro del servizio universale, per cui la Ue prevede l’esenzione dall’imposta, è stata fatta rientrare anche la cosiddetta posta massiva, ovvero i grandi invii di corrispondenza dalle aziende ai cittadini (bollette, estratti conti, ecc). La soluzione sembra il classico uovo di Colombo. Da una parte si elimina un’asimmetria legislativa più volte denunciata dall’Antitrust nonché dai concorrenti privati di Poste; dall’altra si garantisce una copertura al provvedimento ancora più sostanziosa. Le stime prevedono un surplus di 16 miliardi nel 2013, 210 nel 2014, 59 nel 2015, 28,4 nel 2016 e 14,6 nel 2017.
Messa così, è difficile capire perché l’emendamento sia stato bocciato. L’unico intoppo, probabilmente, si chiama Poste Italiane. Un nome balzato in questi giorni agli onori della cronaca per il contributo di 75 milioni nell’operazione governativa di salvataggio dell’Alitalia. Ed è forse per questo che dalle parti di Via XX Settembre hanno preferito non forzare troppo la mano, malgrado l’azienda guidata da Massimo Sarmi abbia le spalle sufficientemente larghe per assorbire l’impatto di una stretta fiscale: nel 2012, secondo l’ultima indagine di Mediobanca, con i suoi 1,87 miliardi di utili si è piazzata al secondo posto dopo l’Eni nella classifica delle aziende più floride del Paese.
L’idea di dover per forza tassare per spendere non è andata giù a Galan, che ha subito rimesso l’incarico di relatore (pur senza far decadere gli altri emendamenti) e si è scagliato a testa bassa contro il governo. «Si sarebbe reso meno ricco lo Stato e la copertura sarebbe arrivata imponendo a Poste Italiane, detenute al 100% dallo Stato, di assoggettare alcuni suoi prodotti all’Iva esattamente come succede alla sua concorrenza», ha spiegato l’esponente del Pdl. Si trattava, ha proseguito, di una misura che «non gravava sui cittadini, rispondeva a uno dei rilievi precisi della Ue, era in linea con le richieste dell’Antitrust, rendendo anche un po’ di giustizia». Quanto alle responsabilità del blocco, Galan non ha dubbi: «Dopo estenuanti trattative con il governo, il ministero dell’Economia ha imposto ai componenti Pd della commissione di votare contro l’emendamento».
Il risultato è che le Poste continueranno a spedire lettere senza Iva, mentre le tasse sulle bevande alcoliche da qui al 2015 (con tre aumenti scaglionati) balzeranno del 33%. Quando berrete una birra fate un bel brindisi: meta bottiglia (il 47%) finisce direttamente all’erario.
© Libero