Lo sforzo fatto dal governo Letta per tagliare il cuneo fiscale non è stato ciclopico. Complessivamente per i lavoratori è stata prevista una dote finanziaria di 5 miliardi di cui 1,5 nel 2014, 1,7 nel 2015 e 1,8 nel 2016. Cifre che, tradotte in importi mensili, si trasformano in mancette mensili che nel migliore dei casi arrivano a 15 euro. Non è andata molto meglio alle imprese, che riceveranno in tutto 5,3 miliardi di cui 1,2 nel 2014, 2 nel 2015 e 2,1 nel 2016. Non solo. Per alcune categorie dietro quelle esigue somme stanziate dalla legge di stabilità si nasconde anche la beffa.
È il caso degli artigiani, che di fatto finanzieranno buona parete del taglio del cuneo per le imprese dell’industria. Lo strumento deciso dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, per alleggerire il costo del lavoro è infatti quello della decontribuzione. Nel 2014, stando alle tabelle contenute nella relazione tecnica della legge di stabilità, un miliardo tondo degli 1,2 previsti arriverà dalla riduzione dei premi pagati dai datori di lavoro all’Inail per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
Di questo miliardo, però, non tutto andrà finanziato direttamente dal Tesoro. Anzi, come si legge nel testo messo a punto da Palazzo Chigi, «in considerazione dei risultati gestionali dell’ente, per effetto della riduzione delle entrate contributive per l’Inail conseguenti alla disposizione in esame è riconosciuto allo stesso ente da parte del bilancio dello Stato un trasferimento pari a 500 milioni di euro per l’anno 2014». Il risparmio in termini di saldo netto da finanziare è dovuto al fatto che l’ente da diversi anni chiude i bilanci con consistenti avanzi di gestione. Anche nel 2012, stando al preventivo economico dell’ente, l’Inail ha chiuso l’esercizio con un utile di 1,12 miliardi di euro.
La scelta del governo, vista così, sembrerebbe logica ed oculata. Il problema è che dietro il conto complessivo dell’ente si nasconde un profondo squilibrio tra le varie gestioni. Mentre il rapporto tra entrate contributive e prestazioni del settore industriale è in profondo rosso, accade invece che artigiani e terziario paghino ogni anno molto più di quanto ricevano, consentendo all’Inail di raggranellare risorse che si aggirano sui 2 miliardi di euro l’anno.
Nel dettaglio, nel 2012 la gestione industria ha chiuso il bilancio con un passivo di 529 milioni. L’artigianato ha invece registrato un attivo di 840 milioni, mentre il surplus proveniente dal terziario si è attestato a 838 milioni.
È sulla base di questi dati, abbastanza stabili e costanti nell’ultimo decennio, che gli artigiani invocano da tempo un riequilibrio gestionale attraverso una riduzione degli oneri contributivi. Richiesta legittima, stando ai numeri, ma che è sempre caduta nel vuoto. Anzi, i premi pagati dai datori di lavoro sono continuati a salire vistosamente anno dopo anno. Nel 2002 un artigiano con il minimo retributivo pagava 63,50 euro l’anno di contributi per la classe di rischio più bassa e 1.359,40 per la classe di rischio più alta. Nel 2013 il premio è salito a 77,70 euro per la prima classe e a 1.665 euro per la nona classe.
Soldi che in larga parte non tornano ai lavoratori sotto forma di prestazioni, ma finiscono nella casse dell’Inail per impieghi che non sono mai stati definiti né dichiarati. Ora quelle risorse saranno utilizzate per coprire la metà del taglio del cuneo disposto dal governo. Con la beffa per gli artigiani che per ottenere la tanto attesa riduzione contributiva si trovano costretti a pagare anche quella degli altri, mantenendo di fatto inalterato lo squilibrio attuale tra entrate ed uscite delle varie gestioni dell’Inail.
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