Un ritocco di qua, un’aggiunta di là, una limatina di sotto. Se l’obiettivo era quello di disorientare l’avversario, il risultato sembra ottimo. Sulle pensioni non si riparte proprio da zero, ma la selva di modifiche contenute nell’emendamento presentato dal governo nelle commissioni Bilancio e Finanze è tale da mandare in confusione anche gli osservatori più preparati. La novità più attesa è sicuramente quella che riguarda l’indicizzazione degli assegni più bassi. Le pensioni con un importo inferiore ai 1.402 euro mensili (ovvero fino a tre volte la minima) avranno la rivalutazione piena rispetto all’inflazione. La modifica inserita in manovra dal ministro del Welfare, Elsa Fornero, dovrebbe salvare dal blocco dell’adeguamento circa tre quarti dei trattamenti Inps, visto che secondo i dati 2010 dell’istituto circa il 78,4% dei pensionati ha un reddito inferiore ai 1.500 euro. L’aumento del tetto, comunque, vale solo per il 2012, mentre per il 2013 dovrebbe tornare a valere il blocco per gli assegni superiori a due volte il minimo.
A fronte di maggiori uscite, il governo conta di recuperare qualcosa attraverso un nuovo scaglione del contributo di solidarietà già introdotto dal governo Berlusconi per gli assegni più alti. L’emendamento prevede che al prelievo del 5% sopra i 90mila euro e del 10% sopra i 150mila euro se ne aggiunga uno del 15% per i trattamenti sopra i 200mila euro. Misura molto simbolica e poco concreta, visto che all’Inpdap gli assegni che superano la soglia annuale sono appena 244, mentre all’Inps non superano i 2mila. Dietro la norma c’è anche lo zampino dell’ex ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, che aveva però proposto un intervento più robusto, del 25% sui redditi sopra i 120mila euro. Proposta che insieme a Silvano Moffa, e altri colleghi del Pdl, è stata riformulata in un subemendamento. Altre risorse dovrebbero arrivare dalla stangatina sugli autonomi. Il decreto prevedeva un aumento delle aliquote contributive dello 0,3% l’anno fino a quota 22%. Ora per le partite Iva ci sarà un incremento dell’1,3% nel 2012 e dello 0,45% dal 2013 fino ad arrivare al 24%.
Ma i cambiamenti riguardano anche la riforma vera e propria. Intanto, le nuove norme per andare in pensione non si applicano ai lavoratori collocati in mobilità lunga da accordi stipulati al «4 dicembre 2011». Il termine era prima fissato al «31 ottobre 2011». Lo slittamento dovrebbe consentire il salvataggio per gli addetti in mobilità dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Viene poi alzato il tetto dei lavoratori esentati dalle nuove norme pensionistiche da 50mila a 65mila.
Per tutti gli altri, invece, arrivano una serie di correttivi e deroghe sulla falsariga delle quote, come avevamo anticipato ieri. I lavoratori con un’anzianità contributiva di almeno 35 anni al 31 dicembre 2012 potranno infatti andare in pensione anticipata a non meno di 64 anni. Il governo interviene così anche sugli effetti per i nati nel 1952, i più penalizzati dalla riforma. Solo le lavoratrici, invece, potranno conseguire il trattamento di vecchiaia con un’età anagrafica non inferiore a 64 anni qualora maturino entro il 31 dicembre 2012 un’anzianità contributiva di almeno 20 anni e abbiano almeno 60 anni di età. Attenuato, infine, per tutti il meccanismo dei disincentivi. Chi andrà in pensione prima dei 62 anni avrà una riduzione percentuale di 1 punto, e non 2 come finora previsto, per il primo anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni. La percentuale di penalizzazione risale a 2 punti percentuali «per ogni ulteriore di anticipo rispetto ai due anni».
Al festival dei sacrifici ha voluto partecipare anche Giorgio Napolitano. Il Quirinale ha infatti bloccato ogni forma di indicizzazione per le pensioni di qualsiasi importo maturate al 31 dicembre 2007 fino a tutto il 2013 per tutti i dipendenti. Tutt’altro l’atteggiamento delle toghe. Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha svelato ieri che almeno 400 magistrati hanno già fatto le valigie in fretta e furia per sfuggire alla tagliola della Fornero.
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