martedì 6 dicembre 2011

Colpite anche le mini-pensioni. Tagli da 100 a 500 euro all’anno

Circa sei milioni di assegni pensionistici congelati per i prossimi due anni e oltre 200mila lavoratori costretti il prossimo anno a rinviare le pensione. Ma l’effetto più pesante degli interventi in materia previdenziale contenuti nella manovra correttiva che il governo ha varato domenica sono senz’altro quelli che colpiranno gli assegni delle pensioni più basse. Se quelle minime, sotto i 467 euro al mese lordi, saranno totalmente escluse
dal blocco dell’adeguamento all’inflazione, già per lo scalino successivo iniziano i dolori. La perequazione sarà infatti decurtata del 50%. Per quelle che superano il doppio, poi, il trattamento nel 2012 resterà esattamente identico a quello attuale: zero rivalutazione.

Gli assegni da mille euro, ad esempio, secondo i calcoli effettuati dalla Cgia di Mestre perderanno circa 20 euro al mese, per un totale annuo di 248 euro. Il calcolo che fa l’associazione veneta degli artigiani e sulla base del valore netto della pensioni, di un tasso di inflazione per il 2012 al 2,7% e dell’ipotesi che il blocco sia totale oltre i 935 euro e non solo sulla parte della pensione che eccede questa cifra. Più si sale, ovviamente, e più il conto diventa salato. Una pensione di 26mila euro lordi (20.490 netti) perde 476 euro in un anno (poco meno di 40 al mese) mentre una pensione di 39mila euro all’anno (28.362 dopo le tasse) perde 566 euro (meno di 50 euro al mese) rispetto al regime precedente alla manovra estiva e 203 se si calcola l’effetto delle norme varate dal governo Berlusconi ad agosto. Gli assegni che subiranno il blocco della rivalutazione sono oltre sei milioni su oltre 24 milioni di trattamenti complessivi.
Per quanto riguarda l’impatto della riforma previdenziale complessiva messa a punto dal ministro del Welfare Elsa Fornero ci sarà qualche mese per metabolizzare. Nella prima metà del 2012, infatti, andrà in pensione chi ha raggiunto i requisiti nel 2011. L’unico ostacolo sarà la decorrenza della finestra mobile. Poi, però, si parte con le nuove regole. Le donne dipendenti del settore privato andranno in pensione di vecchiaia a 62 anni e saranno quindi costrette a rinviare di un anno rispetto alle regole attuali. Entro il 2018 saranno poi a quota 66 come gli uomini e le donne del settore pubblico. Quest’anno le donne che sono andate in pensione di vecchiaia Inps sono state poco più di 62.000 fino a novembre. Si presume che nel 2012 saranno almeno 50mila coloro che saranno bloccate e costrette a rinviare la pensione di almeno un anno. A queste andranno aggiunte le lavoratrici pubbliche che nel 2012 si troveranno di fronte lo scalone che porta da 62 anni a 66 l’età necessaria per l’uscita per vecchiaia.

Sul fronte delle pensioni di anzianità, la classe più penalizzata dall’abolizione delle quote e dall’introduzione dei 42 anni (41 per le donne) di età contributiva sarà quella dei nati nel 1952. Chi era pronto a uscire nel 2013 deve rinviare fino al 2018. Nei primi 10 mesi dell’anno sono andati in pensione di anzianità 136mila lavoratori. È probabile che un numero molto vicino a quello delle uscite del 2011 sarà bloccato l’anno prossimo a causa dell’inasprimento delle regole. Nel 2012 comunque usciranno grazie alle finestre coloro che hanno maturato i requisiti nel 2011.
Per gli autonomi, infine, è previsto anche un aumento delle aliquote contributive di 0,3 punti ogni anno per arrivare a due punti in più nel 2018 (adesso sono al 20-21% per i commercianti e gli artigiani a fronte del 33% dei dipendenti). Cambierà poco, invece, con buona pace di Monti che lo definisce il vero «pilastro della riforma», l’estensione del metodo contributivo anche a chi aveva cominciato a versare contributi prima del 1978. Per questi, che nell’arco di tre o quattro anni, saranno praticamente tutti andati in pensione, dal 2012 si abbandonerà il calcolo retributivo.

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