martedì 27 dicembre 2011

Le banche fanno festa strangolando le imprese

Le banche potrebbero riaprire i rubinetti per le Pmi. E non è detto che sia una buona notizia. Negli ultimi giorni si sono chiesti in molti cosa faranno le banche con la valanga di liquidità (489 miliardi di euro, 116 agli istituti italiani) piovuta dalla Bce con la maxi asta di prestiti a 3 anni. La speranza del governo, che non a caso ha inserito nel salva-Italia la possibilità di bollinare le obbligazioni bancarie con la garanzia del Tesoro, è che i soldi vengano utilizzati per acquistare titoli di Stato a mani basse.

Gli analisti si sono affaticati a prevedere cifre e quantità, con raffiche di stime che vanno da qualche spicciolo ad una robusta percentuale dei 116 miliardi prelevati dalla Bce. Ma a tutti ha già risposto ufficialmente il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini: «Con quasi 500 miliardi di liquidità per le banche, l’asta della Bce è una bella arma, se non vogliamo chiamarla bazooka, ma non potrà essere usata per sostenere i titoli di Stato». Il motivo, non totalmente peregrino, è che se le banche aumentassero la loro esposizione sui debiti sovrani «sarebbero punite dalle agenzie di rating».
Esclusa l’ipotesi bond pubblici, la strada più probabile è quella del rifinanziamento dei debiti, considerando che solo le prime cinque banche italiane nel 2012 dovranno rimborsare qualcosa come 88 miliardi di obbligazioni in scadenza. Sarà una coincidenza, ma Intesa ha preso dalla Banca europa 12 miliardi, esattamente quelli che dovrà restituire l’anno prossimo agli investitori istituzionali.

L’aumento di liquidità non si esaurirà, però, su questo versante. Tenuto anche conto che il 29 febbraio la Bce concederà un bis che dovrebbe riscuotere lo stesso successo della prima asta. La stessa Abi, pur consapevole della tentazione degli istituti di credito di ridurre il peso degli attivi sui bilanci, ha previsto che l’anno prossimo i prestiti aumenteranno del 2,8%. Bene: sostegno all’economia reale. La trappola, però, è dietro l’angolo. E saranno i piccoli a farne le spese. Linker, una società di consulenza finanziaria per le imprese, si è fatta due conti. Un’azienda ottiene un finanziamento a 2 anni ad un tasso dell’8,5% formato dall’1,5% di euribor e il 7% di spread. Quest’ultimo contiene due componenti, la prima (4%) è il costo che la banca ha per raccogliere denaro sul mercato, la seconda (3%) è il rischio legato alla capacità della piccola impresa di restituire il prestito. Considerando un abbassamento del differenziale Btp-bund nei prossimi mesi e ulteriori iniezioni di liquidità da parte della Bce, si può ragionevolmente ipotizzare che tra il 2012 e il 2013 il costo di finanziamento della banca si abbassi all’1,5%. A questo punto, spiega l’ad di Linker, Fabio Bolognini, «lo spread del cliente passa dal 3 al 5,5% senza che la piccola impresa sia effettivamente diventata più rischiosa o peggiorata». Il guadagno della banca aumenta di conseguenza. Se il giochino fosse applicato ai 100 miliardi di crediti che si valuta debbano essere rinnovati rispetto al totale di 900 miliardi di finanziamenti alle società non finanzarie, l’extraprofitto per le banche sarebbe di 2,5 miliardi da qui al 2013. Fantasie? Le Pmi già denunciano interessi che oscillano tra l’8 e il 10%. E le dichiarazioni dell’Abi, che prevedono «un tasso medio dei prestiti non inferiore» (dove “medio” e “non inferiore” sono le parole da tenere d’occhio) al 4,3%, non promettono nulla di buono.

© Libero