La norma, in realtà, serve a salvare i super stipendi dei dirigenti pubblici, come i 460mila euro del direttore dell’Agenzia delle Entrate o i 389mila del direttore dei Monopoli. L’articolo 23 ter della manovra stabilisce infatti che chiunque percepisca soldi dalla Pa deve restare sotto i 300mila euro del primo presidente della Corte di Cassazione, ma il premier può stabilire a suo piacimento (“motivando”) deroghe per le “posizioni apicali” delle amministrazioni.
Ancora peggio l’intervento sui manager delle controllate. Per le spa non quotate del ministero dell’Economia è stata costruita una corsia speciale. Un altro emendamento, infatti, prevede che gli stipendi delle aziende del Tesoro siano definiti con un successivo decreto. Non ci sono tetti prestabiliti. Ogni tre anni, peraltro, potranno essere rivisti i livelli retributivi sulla base del mercato e dell’inflazione. Di fatto Monti, che ha l’interim per l’Economia, avrà mani libere sulle paghe di quasi 30 società in mano allo Stato (più tutte le collegate). E nella lista figurano società come Rai, Ferrovie, Cdp, Poste, Enav, Fintecna, Anas, Sace, Poligrafico, Sogei. Una galassia di imprese e di potere. Decine e decine di poltrone da assegnare e di buste paga che, a questo punto, saranno senza limiti.
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