mercoledì 1 luglio 2009

Sepolto nei ministeri un tesoro da 23 mld

Decine di miliardi parcheggiati nei ministeri in attesa soltanto di essere spesi. È l’ultimo paradosso della burocrazia italiana, dove i soldi, si perdono, si spostano si trasferiscono e si bruciano. Tutto fuorché farli arrivare a destinazione. Alla faccia della crisi e dello sviluppo. A svelare il grottesco fenomeno è stata ieri la Corte dei Conti, che ha diffuso la relazione sulle gestione delle risorse dello Stato. In particolare su quelle già allocate in partite di spesa del bilancio pubblico. In altre parole, si tratta di risorse che tutti sanno dove devono andare e cosa devono finanziare. Lo sanno i ministeri, lo sanno i destinatari. Eppure, i miliardi rimangono per anni insabbiati nei libri contabili. La spesa monitorata dai magistrati contabili nel 2008, quella considerata a rischio, riguarda 19 miliardi in conto residui e 15 in conto competenza. Districarsi nei tecnicismi dell’analisi contabile della Corte non è facile, ma la sostanza è chiara come il sole. Di quei soldi, lo ricordiamo già stanziati da specifiche leggi dello Stato votate in Parlamento e pubblicate in Gazzetta ufficiale, ne sono stati effettivamente erogati soltanto 5 miliardi per i conti residui e 5 per quelli di competenza, con percentuali rispetto alla somma originaria del 28 e del 40%. In pratica, sono rimasti incagliati oltre 22 miliardi. Sono gli stessi miliardi di cui si parla tutti i giorni, in tv e nei convegni, in Parlamento e nei comizi di partito. Sono quei soldi che mancano per l’edilizia, per la sanità, per l’università, per le imprese. Nel dettaglio, c’è il fondo per la competitività e lo sviluppo: su quasi 4 miliardi stanziati ne sono stati erogati solo 271 milioni, il 7%. Oppure c’è il Fondo per le aeree sottoutilizzate, i famosi Fas di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi. Ebbene, su circa 2 miliardi e 800 milioni volete sapere quanti ne ne sono usciti dal ministero dello Sviluppo economico? Zero. Poi ci sono le somme da erogare in metria di edilizia sanitaria pubblica, i fondi per la riqualificazione dei porti, quelli per le infrastrutture, fino al sostegno alla finanza d’impresa.Di fatto, scrive la Corte, «la massa spendibile viene sottratta, in tutto o in parte, alla naturale destinazione prevista dalle leggi e dai programmi di spesa che ne legittimano lo stanziamento».Il motivo? Ce ne sono a bizzeffe. Talvolta si tratta di «una insufficiente azione di governo», talvolta da «problemi relativi all’organizzazione amministrativa e contabile», in altri casi è colpa di «disfunzioni riconducibili anche ai soggetti destinatari dei finanziamenti». Alcune volte, infine, è colpa delle stesse leggi di bilancio, così complicate e contradditorie da renderne impossibile l’applicazione.Una cosa, però, è certa. La cosa fa comodo alle finanze pubbliche, che si ritrovano in cassa più soldi del dovuto. La Corte non esclude, infatti, che molte delle situazioni anomale nascondano «un consapevole utilizzo di questi ritardi ai fini del contenimento della spesa pubblica». Un modo, insomma, per far tornare sempre i conti.In realtà, si tratta di «consistenti patologie gestionali» e di «una legislazione ipertrofica» scarsamente «funzionale al raggiungimento degli scopi primari della stessa». Insomma, il giochino delle tre carte non conviene a nessuno, anche perché «il deficit di trasparenza contabile» e «la genericità e la eterogeneità delle denominazioni dei piani gestionali» non forniscono «informazioni finalizzate ad elevare il grado di razionalità economica nella gestione del settore pubblico e a comunicare ai vari interlocutori istituzionali ed economici i risultati dell’azione di governo». È per questo che la Corte auspica che si proceda in fretta «ai processi di modernizzazione della pubblica amministrazione, che sono in cima alle cure del nostro Legislatore». Lo speriamo tutti.

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