martedì 7 luglio 2009

La paura fa 9,3%

Che la situazione non fosse delle migliori era chiaro. Tutti i principali indicatori segnalano da tempo il cattivo stato di salute della nostra economia colpita, come gran parte dei Paesi del pianeta, dagli effetti della crisi. Ma quel deficit/pil nel primo trimestre al 9,3%, pur con tutte le cautele del caso, un po’ di apprensione in più la mette. Non fosse altro perché all’Istat, da quando gli esperti si mettono lì ogni tre mesi a calcolare numeri e percentuali, nessuno lo aveva mai visto. Il dato è infatti il più negativo dal 1999, ma solo perché quello è l’anno in cui sono cominciate le serie storiche. Detto questo, bisogna ricordare che il primo trimestre è sempre il più difficile, quello dove le cifre schizzano, per poi assestarsi durante l’arco dei dodici mesi. Cosa che accade da diversi anni a questa parte, compreso l’ultimo dove la situazione non è stata così rosea (rispetto a 5,7% la chiusura del 2008 è stata al 2,7%). Certo, preoccupano i dati sulla spesa pubblica che sale (+4,6%), sul saldo primario che scende (-4,6%) e sulle entrate che frenano (-2,8%). Ma in fondo lo scenario complessivo non sembra tanto diverso da quello su cui si ragionava l’altroieri, prima di essere gelati dai dati dell’Istat. Il governo, al di là delle polemiche su ottimisti e pessimisti e sulla validità delle stime, sa perfettamente che per uscire dalla crisi il Paese non ha bisogno soltanto di sopravvivere alla tempesta, ma di cambiare il passo prima che gli altri tornino a correre. E per fare questo servono riforme strutturali. Un po’ di tempo c’è ancora. Il quadro, infatti, è quello tracciato un paio di settimane fa dall’Ocse che vedeva l’Europa più o meno nella stessa situazione, se non peggio, dell’Italia.Non a caso ieri il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, (che ha lasciato i tassi invariati all’1%) ha spiegato che alla riduzione del deficit ci si penserà nel 2011, tra due anni. Nel frattempo, con la ripresina che dovrebbe arrivare nella metà del 2010, bisognerà attendere gli effetti dei «piani di stimolo» pubblici sull’economia. Quando il ciclo ripartirà, si risolveranno anche i problemi legati alla bassa inflazione. Perché una crescita della domanda porterà ad una graduale ripresa dei prezzi e quindi del sistema produttivo. Solo allora «si dovranno avviare i necessari sforzi per consolidare i bilanci». Resta inteso che tutti dovranno farsi trovare preparati. Soprattutto chi, come noi, ha un deficit elevato. Per questi Paesi, ha spiegato il numero uno della Banca centrale europea, «sarà necessario un aggiustamento strutturale del deficit pubblico almeno dell’1% l’anno».In questo senso, la buona notizia arriva dal decreto fiscale. Nella relazione tecnica della Ragioneria dello Stato del dl, che inizia martedì il suo iter alla Camera, si legge che il miglioramento del saldo netto da finanziare è di circa 1.396 milioni nel triennio 2009-2011 e di 500 milioni l’anno nel 2009 e 2010 del fabbisogno. È invece nullo in tutti e tre gli anni l’effetto sull’indebitamento. «Una quota delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dal decreto e non utilizzate a copertura», si legge nella relazione, «è destinata a incrementare la dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica e integralmente destinate all’attuazione della manovra di bilancio per il 2010 e gli anni successivi».La cattiva notizia arriva invece dall’Europa, dove il tasso di disoccupazione a maggio si è attestato al 9,5% contro il 9,3 di aprile. Nel 2008 era al 7,4%. È il peggior dato dal maggio 1999.

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