martedì 21 luglio 2009

Piccole imprese in marcia su Roma

Nessun fischietto, niente tamburi, niente striscioni offensivi né bandiere politiche. È un corteo curioso quello che sfilerà oggi per le strade di Roma. Un corteo silenzioso e insolito. A manifestare saranno micro-imprenditori, artigiani e partite Iva. Lavoratori senza tessere e senza etichette, riuniti sotto le insegne di un movimento spontaneo dal nome eloquente: “Imprese che resistono”. Che resistono alla crisi, ma anche ad un vuoto di rappresentanza. «Perché tutti parlano delle Pmi come il tessuto produttivo, la spina dorsale che manda avanti il Paese, tutti mettono le Pmi al centro delle ricette per la ripresa», spiega l’animatore del comitato, Luca Peotta, «ma se si arriva al punto di costringerci a scendere in piazza, significa che qualcosa non ha funzionato». Ed ecco allora che la marcia delle Pmi diventa automaticamente un dito puntato contro la disattenzione. Quella della politica, ma anche quella delle associazioni. Già, perché oggi in strada ci saranno imprenditori troppo grandi per essere ascoltati dalle mille sigle che rappresentano gli artigiani e i commercianti e troppo piccoli per ricevere il sostegno della grande industria. Sono abitanti della terra di mezzo, invisibili, anomalie che le statistiche non riescono a fotografare. Eppure tutti i giorni, nelle loro aziende, combattono la crisi, come la combattono milioni di lavoratori italiani e come la combattono i loro dipendenti. Alcuni dei quali oggi saranno lì, accanto ai “padroni”, a testimoniare le difficoltà della piccola economia, ad imbarazzare i sindacati che non ci sono più o non ci sono mai stati, a mettere in difficoltà quei partiti che hanno lasciato per strada le promesse e le battaglie.
È un punto di vista, quello dei piccoli, da cui il dibattito in corso tra governo e banche appare distante. Così come quello animato dalla Confindustria o dal Pd, che nella corsa per la segreteria sembra ora aver riscoperto il mondo dimenticato delle Pmi.
Ma in fondo chi marcerà oggi non vuole indicare colpevoli, né individuare nemici. «Siamo solo», spiega Peotta, «imprenditori che vogliono avere la possibilità di resistere». L’intenzione è, insomma, quella di dare una scossa, sia al mondo della politica che a quello della rappresentanza. Qualcuno lo ha già capito. Qualcuno lo sta capendo. Ai primi di luglio “Imprese che resistono” è scesa in piazza a Torino. Una partenza anche simbolica, nel mondo della Fiat e degli operai. Un migliaio allora. Ma le adesioni crescono. Il Nord Est, in primo luogo, ma il messaggio si sta diffondendo rapidamente, con il passaparola, ai distretti produttivi della Toscana e anche del Lazio. Alcune realtà si stanno muovendo anche in Campania. «Dove la situazione dei piccoli è ancora più disperata di quella del Nord», dice Peotta, che non chiude le porte a nessuno. «Sarei felice», spiega, «se accanto a noi sfilassero gli uomini della Cna, di Confartigianato o di Confesercenti, tanto per citarne alcune». E qualcuno, probabilmente, ci sarà. A macchia di leopardo. In occasione della marcia di Torino aderirono sia la Api-Torino sia quella del Piemonte. Non quella di Cuneo. «Ma l’importante», dice Peotta che non vuole fare polemiche, «è esserci e dare un segnale». La speranza per oggi è di raccogliere 2mila adesioni. Già sarebbe una vittoria, visto il caldo, l’estate e i costi della trasferta. L’altro obiettivo sembra un po’ più complicato. Il ministro Giulio Tremonti non sarà disponibile per un incontro. Forse ci sarà il tempo per un tavolo con alcuni parlamentari delle commissioni economiche. «Basta che si faccia in fretta», conclude Peotta, «perché la crisi c’è adesso, domani sarà già troppo tardi».

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