Doveva essere il G8 delle polemiche, degli imbarazzi, del Noemi-gate. È stato il G8 dei risultati, degli impegni concreti, degli accordi allargati. Sarà stato “merito” della crisi economica, sarà stata la nuova amministrazione americana, fatto sta che nella tre giorni aquilana Silvio Berlusconi è riuscito ad ottenere quello che da alcuni anni a questa parte dal cilindro dei summit internazionali non era mai uscito. Dal G8 giapponese di Hokkaido, lo scorso anno, i grandi avevano sudato sette camicie per presentarsi alla conferenza stampa finale con uno straccio di accordo: un impegno condiviso sul clima che, per accontentare tutti, alla fine non andava al di là di un «nel futuro saremo più attenti all’ambiente». Accanto a questo c’era poi una bella tirata d’orecchie ai petrolieri, con la minaccia che se non avessero smesso di speculare sul greggio si sarebbero attirati l’esecrazione mondiale. Lo stesso era, più o meno, accaduto l’anno prima in Germania e quello ancora prima in Russia. Della maggior parte dei G8, tutt’al più si ricordano gli scontri coi no global e le mise delle first lady.
Silvio Berlusconi ha rivelato in conferenza stampa di avere ricevuto «complimenti imbarazzanti». Qualcuno, ha raccontato, «mi ha detto che è stato il miglior G8 al quale ha mai partecipato». Senza spingersi così in là, bisogna ammettere che il Cavaliere è riuscito a prendere la palla al balzo. Da una parte la crisi, che ha favorito la convergenza su molte questioni (a partire dal Doha round) anche dei Paesi emergenti e che ha permesso all’Italia di ottenere il consenso sul protocollo “tremontiano” con le nuove regole per l’economia e la finanza. Dall’altra mister Obama, che ha consentito al premier di sparigliare il tavolo su temi cruciali come il clima, l’allargamento del G8 e le armi nucleari. Ad oliare il tutto c’è stato poi il consolidamento dell’asse con la Russia di Putin, che ha trasformato Berlusconi in una pedina preziosa per gli equilibri geopolitici tra Europa e Stati Uniti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nell’ultima giornata di lavori il G8 ha prodotto un innalzamento dei fondi stanziati per la sicurezza alimentare in Africa da 15 a 20 miliardi in tre anni. Ma è soltanto l’ultimo degli obiettivi centrati dal vertice che si è concluso ieri. Tra i principali c’è, ovviamente, lo sforzo congiunto sulle ricette anti-crisi, sulle nuove regole per la finanza globale e sulla lotta ai paradisi fiscali. Tutti punti su cui ha lavorato negli ultimi mesi il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Il traguardo più plateale è però quello raggiunto sul clima, dove per la prima volta i Paesi emergenti si sono impegnati insieme agli Stati Uniti a mettere nero su bianco un programma concreto di riduzione delle emissioni di anidride carbonica in vista del summit di Copenaghen a dicembre. Un percorso che finora sia la Cina sia l’amministrazione Usa si erano sempre rifiutate di intraprendere. E più che concreta è l’intesa raggiunta sul Doha round. I negoziati per la liberalizzazione del commercio internazionale vanno avanti senza alcun risultato da ben 8 anni. In tre giorni all’Aquila i grandi del G14 più i tre Paesi del Mef hanno deciso di darsi una scadenza effettiva (il 2010) e di dare mandato al segretario generale del Wto, Pascal Lamy, di convocare tutti i ministri del Commercio e degli Esteri per raggiungere un compromesso da presentare già al prossimo G20 di Pittsburgh della fine di settembre.
Un’altra data è quella sul vertice internazionale per ridiscutere del trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, che dovrà tenersi nella primavera del 2010. Prima dell’Aquila non si era infine mai riusciti a tracciare un percorso di allargamento del G8 agli altri Paesi che dominano la scena mondiale dell’economia. Dalla caserma di Coppito esce invece un’indicazione precisa per arrivare al G14 come formula standard per il tavolo dei grandi. Se i prossimi vertici andranno male come questo, c’è da essere soddisfatti.
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