Immaginate di firmare un preliminare per l’acquisto di un appartamento, poi, al momento del rogito, il venditore si presenta con un prezzo maggiorato del 30% e rivalutato sulla base dell’andamento del mercato. È esattamente quanto accaduto alle famiglie dell’immobile situato a Milano in Corso di Porta Romana 51. Uno dei tanti stabili posseduti dall’Inps, che la dice lunga sulle difficoltà dell’ente nel gestire il suo sterminato patrimonio immobiliare.
La vicenda si inserisce nella fallimentare operazione Scip, partita nel 2001 e di fatto congelata dal 2009, con la restituzione dei cespiti invenduti all’Istituto di previdenza. L’offerta agli inquilini dello stabile di Corso di Porta Romana arriva nel 2006, quando l’immobile non era inserito tra quelli «di pregio» e godeva dunque di condizioni di vendita particolarmente favorevoli: prezzo di mercato del 2001 e sconto del 30%. Molti accettano e opzionano la vendita. Nell’aprile del 2007, però, l’immobile viene spostato nella lista di quelli di pregio. Così l’Inps il 4 giugno dello stesso anno prende carta e penna e invia agli inquilini una bella raccomandata con la nuova offerta. Non solo sparisce lo sconto, ma il prezzo è ora riferito a quello di mercato del 2007.
A nulla servono le proteste e le lettere degli avvocati: l’ente non molla. Una delle inquiline, però, non ci sta e si rivolge al tribunale. Ottiene ragione in primo grado e anche in appello (nel 2010). Ma l’Istituto di previdenza insiste. Dice che è tutto un trucco per pagare meno l’immobile e che la prima offerta valeva solo «ad orientare gli interessati in termini di adesione o meno all’ipotesi». Il duello finisce in Cassazione, che lo scorso 25 marzo, rigettando il ricorso e condannando l’ente al pagamento di oltre 7mila euro di spese, ha spiegato all’Inps chenel momento in cui l’affittuaria ha esercitato l’opzione sulla prima offerta questa va considerata come un contratto preliminare di compravendita. A quel punto, l’unica alternativa consentita dalla legge è quella di onorarlo fino in fondo.
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