martedì 10 maggio 2016

C'era una regia in Etruria per vendere bond ai clienti

Non bastava la «commissione consiliare informale». Ora si scopre che in Banca Etruria esisteva anche una vera e propria «cabina di regia» con il compito di piazzare le obbligazioni subordinate ai piccoli risparmiatori. È questa la clamorosa novità emersa dall’ennesimo filone di indagine della procura di Arezzo a carico dell’istituto posto in liquidazione.

Seguendo la nuova ipotesi investigativa, che aveva già portato nei giorni scorsi all’iscrizione nel registro degli indagati di una decina di direttori e funzionari di filiali, ieri mattina la Guardia di Finanza ha effettuato una serie di perquisizioni nella sede centrale di Banca Etruria. La cospicua documentazione sequestrata dalle Fiamme Gialle riguarda proprio il collocamento sul mercato dei prodotti ad alto rischio finiti nelle tasche di clienti privi di un profilo finanziario adeguato. Nel dettaglio, gli inquirenti sono a caccia della corrispondenza tra i vari responsabili di area che avrebbero imposto, tramite circolari interne e altre condotte, la sottoscrizione di obbligazioni solitamente proposte ai clienti «professionali», che possiedono le competenze necessarie per valutare correttamente i rischi che assumono, anche ad un segmento retail assolutamente sprovvisto di strumenti di autodifesa.

L’idea che i risparmiatori beffati dalla risoluzione dei quattro istituti siano stati in qualche modo raggirati e traditi nella loro buona fede non è nuova. Lo stesso decreto banche, che oggi comincia il suo percorso in commissione Finanze del Senato, prevede che al di sotto di una certa soglia di reddito e di capitale investito, per i prodotti collocati entro l’agosto 2014, il risarcimento parziale ai clienti sia automatico. Ammettendo implicitamente la presenza di un inganno.
Una cosa, però, è la pratica, più o meno diffusa tra i funzionari, di sfruttare l’ingenuità dei clienti meno avveduti per aumentare un po’ la raccolta, un’altra l’esistenza di un sistema studiato a tavolino dai livelli più alti della banca, esplicitamente finalizzato ad incastrare i risparmiatori. Se questo fosse dimostrato, il rimborso forfettario previsto dal governo si trasformerebbe in una trappola per chi, invece, in quanto truffato, avrebbe diritto al risarcimento totale.

Per ora i pm, che ipotizzano il reato di truffa aggravata in concorso, hanno acceso i riflettori sulla documentazione in possesso di due funzionari, che avrebbero preso ordini da due dirigenti. Lo scenario, però, è quello di una catena di comando che arriverebbe fino ai vertici della banca. Ovvero, considerato che le obbligazioni furono vendute, secondo l’accusa, in due tranche nel 2013, per un ammontare di 120 milioni, fino al cda presieduto da Giuseppe Fornasari, con Luca Bronchi direttore generale e Pier Luigi Boschi (poi divenuto vicepresidente nel maggio 2014) consigliere d’amministrazione.
Grazie anche alle dichiarazioni contenute nelle oltre 400 denunce raccolte, dalle indagini coordinate dal procuratore capo Roberto Rossi, è emersa con «ragionevole certezza» una «cabina di regia» a livello manageriale, che ha prescritto il collocamento delle subordinate in modo «granulare», andando ad individuare anche soggetti con un profilo di investitore a «rischio basso» e non più solo a «rischio medio-elevato» in linea con la tipologia di investimento finanziario. In particolare, le indagini hanno evidenziato che gli investimenti in subordinate, su proposta dei responsabili d’area e degli uffici territoriali, sono stati prospettati ai vari clienti come investimento sicuro ed analogo a quelli in obbligazioni ordinarie e titoli di Stato. Talvolta, addirittura, il cliente sarebbe stato spinto ad effettuare il disinvestimento di operazioni a capitale garantito per favorire l’acquisto delle obbligazioni subordinate, che gli era stato proposto come «una promozione» della Banca rivolta ai propri clienti migliori, ma che doveva essere sottoscritta in tempi brevissimi.

Si tratta di capire, adesso, quale sia stato il livello di conoscenza delle pratiche scorrette da parte dell’intero consiglio. Come ha dichiarato a conclusione delle sue ispezioni il capo del pool inviato da Bankitalia, Emanuele Gatti, «il cda ha sostanzialmente abdicato al proprio ruolo, lasciando ampia discrezionalità all’alta direzione, composta dal direttore generale Luca Bronchi e dall’alta dirigenza munita di poteri delegati».
Il comitato di gestione ombra, sempre secondo Via Nazionale, dopo il cambio del cda del maggio 2014, che portò alla presidenza l’ex vice Lorenzo Rosi e alla vicepresidenza Alfredo Berni e il papà del ministro Maria Eelena Boschi, si trasformò nella cosiddetta «commissione consiliare informale». Un organismo che prendeva decisioni, anche di estremo rilievo, senza discuterne preventivamente con il cda e, spesso, anche senza verbalizzare le riunioni. Nulla di più facile che la cabina di regia scoperta ora dai pm rispondesse direttamente a questi misteriosi conclavi.

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