venerdì 16 maggio 2014

Sulla Tasi i sindaci fanno i furbetti

Meglio il caos che le casse vuote. È questa, in sostanza, la posizione espressa ieri al governo dai sindaci italiani, che da una parte non vogliono fissare le aliquote Tasi in campagna elettorale e dall’altra non vogliono rinunciare ad incassare comunque l’acconto. «Il rinvio a dicembre del pagamento rischia di provocare un buco e di rendere impossibile l’erogazione di quei servizi che oggi erogano i comuni», ha minacciato ieri il presidente dell’Anci, Piero Fassino. Un avvertimento che non ha trovato alcuna opposizione al ministero dell’Economia, dove l’orientamento emerso è quello di procedere al pagamento della prima rata del 16 giugno senza proroghe o slittamenti.

Che il governo fosse contrario al rinvio, del resto, lo si era già capito dalle dichiarazioni del sottosegretario Graziano Delrio, secondo il quale «gli italiani di tutto hanno bisogno tranne che di cambiare le regole». Parole curiosamente molto simili a quelle pronunciate ieri da Fassino: «Non è serio, neanche per i cittadini, continuare a cambiare i termini del pagamento della Tasi».
Che ad una settimana dalla scadenza prevista (il 23 maggio) solo 900 comuni su 8mila, secondo le stime di Confedilizia, abbiano già deliberato l’aliquota non sembra essere un problema per l’esecutivo. E neanche che i contribuenti dovranno fare i conti con l’ennesimo ingarbuglio fiscale sulla casa.
In mancanza di percentuali fissate, per le prime case il pagamento avverrà per intero a dicembre. Per le seconde, invece, l’acconto si pagherà lo stesso, ma sul 50% dell’aliquota base dell’1 per mille. Se poi il comune dovesse decidere di annullare la nuova tassa (cosa meno rara del pre3visto se l’Imu è alla quota massima dell’11,4%) il cittadino dovrà avventurarsi in un’operazione rimborso dagli esiti assai incerti. Sarà calcolata ad occhio, invece, l’imposta da pagare per le case affittate.

In questo caso, infatti, proprietario e inquilino devono dividersi la Tasi con una ripartizione che oscilla dal 90/10% al 70/30% in base alle decisioni del comune. Se queste non arrivano in tempo, secondo un’indicazione delle Finanze (che non è riportata in alcuna legge), bisognerebbe togliere dall’importo una quota forfettaria del 10% annuo, quindi il 5% per la prima rata, che spetta all’inquilino.
I pochi fortunati che a fine mese sapranno a quanto ammonta l’aliquota dovranno, infine, calcolare la prima rata in fretta e furia in due settimane, da soli o con l’aiuto dei Caf, che saranno come al solito presi d’assalto.
La prospettiva di un’altra via crucis sugli immobili per i contribuenti ha già scatenato la protesta delle oppposizioni e raccoglie molti dissensi anche nella stessa maggioranza. Due giorni fa il sottoegretario all’Economia, Enrico Zanetti, si è detto favorevole all’ipotesi di un rinvio. E in queste ore la questione è rimbalzata anche in Senato, dove la richiesta di slittamento è spuntata in molti emendamenti (a firma Lega, Gal Sc, Pi, Fi e Pd) al decreto Irpef, presentati nelle commissioni Bilancio e Finanze.
A differenza di quanto detto da Delrio, però, che pur dichiarandosi contrario aveva passato la palla al Parlamento, i relatori del provvedimento non sembrano disposti a fare un passo senza il via libera di Palazzo Chigi. «Le modifiche alla Tasi», ha spiegato la senatrice del Pd, Cecilia Guerra, «non è oggetto di questo decreto. Per me può stare tranquillamente fuori. Ma se ci sarà un orientamento diverso del governo valuteremo».

© Libero