Nessun lavoratore licenziato, nessuno stabilimento chiuso, nessun taglio ai salari. Messa così, la chiusura della vertenza Electrolux sembra quasi un miracolo. E forse lo è, considerato che solo qualche mese fa l’ex ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, sosteneva che non c’erano le condizioni materiali per l’accordo.
Certo, i lavoratori faranno la loro parte, con la riduzione del 60% dei permessi sindacali, la contrazione da 10 a 5 minuti della pausa di lavoro a Porcia e lo scaglionamento delle ferie. Ma come si è arrivati alla «produttività polacca» che l’azienda chiedeva per evitare la delocalizzazione degli stabilimenti?
La sensazione, stando anche alla soddisfazione di Cgil, Cisl e Cil, è che non siano stati solo i dipendenti a pagare il conto. Il grosso delle misure che hanno permesso all’azienda di elettrodomestici di tagliare il costo del lavoro di 3 euro l’ora, condizione da sempre considerata dal gruppo svedese come imprescindibile, arriva infatti dallo Stato. Da una parte ci sono gli interventi regionali. Tra i quali quello promesso dalla governatrice Debora Serracchiani: sgravio dell’addizionale Irpef esteso ad hoc ai lavoratori Electrolux e contributo aggiuntivo (da 2 a 2,5 euro l’ora) per i contratti di solidarietà. Dall’altra quelli del governo che, considerato anche l’approssimarsi delle elezioni, non ha fatto troppo il difficile. Le risorse per la solidarietà, che, stando a quanto detto Zanonato, non c’erano, sono state recuperate attraverso un rifinanziamento, sempre ad hoc, di 15 milioni inserito nel dl lavoro. In aggiunta, il governo forzerà anche le regole sull’assegnazione dei fondi per l’attività di ricerca. Si tratta di finanziamenti agevolati previsti dal Fondo per la crescita sostenibile i quali, però, come spiegato da Zanonato un po’ di tempo fa, per essere attivati imporrebbero che «l’azienda collochi i prodotti in una fascia diversa da quella attuale» attraverso processi di innovazione e conversione.
Alla luce dei cospicui aiuti pubblici, il rischio che l’operazione Electrolux si trasformi in una nuova Alcoa non sembra da escludere. Per ora, comunque, tutti festeggiano la scampata fuga all’estero degli svedesi. I sindacati celebrano la vittoria ottenuta, a loro dire, grazie alle 150 ore di scioperi. Il governo e i presidenti delle Regioni coinvolte (Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna) sbandierano in chiave prelettorale la difesa dell’occupazione e dell’industria nazionale. L’azienda incassa i finanziamenti e annuncia il mantenimento in Italia di tutti e quattro gli stabilimenti nonché 150 milioni di investimenti complessivi.
Il corposo testo dell’accordo firmato ieri al ministero dello Sviluppo, che sarà portato oggi a Palazzo Chigi, per la passerella finale di Matteo Renzi, prevede il riassorbimento di 150 esuberi di Procia e il mantenimento dei livelli occupazionali fino al 2017 (quando verranno meno anche gli ammortizzatori sociali), piani industriali per i singoli impianti, mentenimento integrale del salario ed esodi incentivati per le eccedenze. L’incremento produttivo sarà inoltre realizzato con l’impegno da parte dell’azienda a non peggiorare gli indici di salute e sicurezza.
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