domenica 22 luglio 2012

Amato scrive i tagli ai partiti. Poi li lascia nel cassetto

La riforma del finanziamento pubblico ai partiti è stata già approvata dal Parlamento mentre sui tagli ai sindacati il governo ha già fatto retromarcia nel decreto sulla spending review. Se gli assi nella manica di Mario Monti per impressionare i mercati e far scendere lo spread sono tutti come il piano messo a punto dal superconsulente Giuliano Amato c’è poco da stare allegri. Venerdì, con lo spread in orbita a 500 punti base, il premier ha sbandierato il lavoro dell’ex presidente del Consiglio come uno dei temi caldi su cui il governo nei prossimi giorni incardinerà una sorta di colpo di reni per sottrarsi alla minaccia del «contagio» della crisi europea.

 In realtà, sembra che il dossier sia da diverse settimane sul tavolo del professore. Dove è rimasto senza produrre alcun risultato. E i motivi sono facilmente spiegabili. Sul fronte dei costi della politica, mentre il superconsulente Amato, nominato dal governo alla fine di aprile, lavorava alacremente per ridisegnare tutto il sistema dei finanziamenti pubblici ai partiti, il Parlamento proseguiva l’esame del disegno di legge di riforma sullo stesso argomento. Ddl che qualche settimana fa ha ricevuto il via libera definitivo dal Senato e che, se sono vere le indisrezioni comparse su alcuni organi di stampa, picchia molto più duro del piano elaborato dall’ex premier socialista. Se qui si parla, infatti, di una riduzione complessiva del 30% delle risorse pubbliche destinate ai partiti, la riforma varata dal parlamento prevede un taglio del 50% dei rimborsi. Dai 182 attuali si passa a 91 milioni.
Di cui il 70% saranno erogazioni ricevute direttamente dallo Stato (63 milioni 700 mila euro), mentre il restante 30% (27 milioni 300 mila) sarà di cofinanziamento. Il che significa che i partiti sono pronti a ricevere 50 centesimi per ogni euro avuto da persone fisiche o enti. E ogni contributo non potrà superare i 10mila euro.
Qualsiasi risparmio derivante da questo fronte, comunque, inizierà ad entrare nelle casse dello Stato dalla prossima legislatura. Quindi nulla di quanto potrà scaturire dalla mente del professor Amato, che avrebbe pensato anche di rivedere la natura giuridica dei partiti e di affidare tutte le erogazioni alla Tesoreria unica dello Stato, avrà alcun impatto di breve periodo sui conti pubblici, come chiedono invece l’Europa, il Fondo monetario e i mercati.
Anche l’altro grande capitolo a cui sta lavorando l’ex premier, purtroppo, sembra una pistola scarica. Si tratta dei soldi pubblici che intascano i sindacati. E in particolare quelli relativi al servizio di assistenza fiscale svolto dalle associazioni dei lavoratori e quelli che servono a corpire le spese di permessi e distacchi sindacali.

In questo caso la torta è sostanziosa. Sul fronte dei Caf parliamo di 17 milioni di dichiarazioni dei redditi elaborate ogni anno, di cui circa la metà passa per le mani dei centri collegati a Cgil, Cisl e Uil. Per questa attività, che complessivamente (calcolando anche la spesa dei cittadini) vale circa 320 milioni, i tre sindacati prendono controbuti che vanno dai 25 milioni della Cgil, ai 15-18 della Cisl fino agli 8-10 milioni della Uil. In base alla tipologia della dichiarazione il singolo contributo attuale è di 14 o di 26 euro. Sul fronte dei distacchi sindacali del pubblico impiego il costo per lo Stato si aggirerebbe, invece, sui 140-150 milioni di euro. Per entrambe le voci del bilancio pubblico il piano Amato prevede consistenti riduzioni, se non l’azzeramento totale dei fondi.
Bene, se non fosse che il tentativo, forse su suggerimento dello stesso ex premier, è stato già fatto e rimangiato. In una delle ultime bozze della spending review varata dal Consiglio dei ministri compariva infatti il taglio del 10% sia dei trasferimenti ai Caf sia delle risorse utilizzate dalla pubblica amministrazione per pagare permessi e distacchi degli statali in forza ai sindacati. Poi, nell’ultima versioen uscita dal Cdm e finita in Gazzetta ufficiale, la norma è scomparsa. Con tutta probabilità lo sbianchettamento si è reso necessario per tentare di fare digerire ai sindacati il taglio lineare del 10% di tutti i dipendenti pubblici. In questo caso sarà molto difficile che il governo potrà tirare fuori di nuovo l’argomento, con le sigle che sono sul piede di guerra e hanno già minacciato lo sciopero generale alla ripresa di settembre. Del resto, il taglio, almeno epr quanto riguarda i Caf, si sarebbe andato ad aggiungere a quello robusto già disposto dal precedente governo Berlusconi, che dal primo gennaio 2012 ha ridotto i contributi da 16,29 e 32,58 euro agli attuali 14 e 26.

© Libero