Alla fine l’infausto venerdì 13 si è chiuso con meno danni del previsto. Il blitz notturno di Moody’s, che ha abbassato il rating dell’Italia di due gradini, da A3 a Baa2, non ha sconvolto più di tanto i mercati. La Borsa di Milano, dopo una giornata in altalena, è riuscita a chiudere in terreno positivo, con un rialzo dello 0,96%. E tutto sommato ha tenuto anche lo spread, che dopo aver toccato i 485 punti si è fermato a 479 rispetto ai 466 di giovedì. Un livello proibitivo, ma non così lontano dalla media degli ultimi mesi. Del resto, basta guardare l’asta dei Btp triennali, dove il Tesoro è riuscito a fare il pieno con richieste doppie (6 miliardi sui 3,5 offerti) e rendimenti in calo al 4,65 dal precedente 5,3%, per capire che i verdetti delle tre sorelle del rating non spaventano più come una volta.
Al governo, però, la bordata dell’agenzia statunitense non è andata giù. «Il giudizio di Moody’s è ingiustificato e fuorviante», ha tuonato il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, intervenendo all’assemblea dell’Ance. Ancora più irritato Mario Monti, che si è visto arrivare il declassamento proprio mentre stava andando a pavoneggiarsi negli States a caccia di investitori e credibilità. «L’Italia è virtuosa, ma invece di premiarci ci puniscono, e tutto questo è creato da disturbi da Paesi terzi», avrebbe borbottato durante la Conferenza Allen in mezzo ai guru della new economy americana. Una tesi sostenuta anche dalle imprese. «Siamo più forti di quanto appare dalle valutazioni di Moody’s», ha detto il presidente di Confindustria che ormai, dopo le polemiche anche interne suscitate dalle sue critiche al premier, non perde occasione per celebrare il lavoro del governo. Anche il Commissario Ue agli affari economici, Olli Rehn, comunque è corso in aiuto dell’Italia definendo «inappropriato» il timing dell’annuncio e ribadendo il giudizio positivo nei confronti degli «sforzi senza precedenti» che il nostro Paese sta facendo.
La verità è che i mercati hanno fatto spallucce perché è da settimane, se non mesi, che conoscono la difficile situazione italiana, e si regolano di conseguenza. E’ sufficiente buttare un occhio sull’andamento dei credit default swap (i titoli che misurano la possibilità di un Paese di andare a gambe all’aria) per verificare che il livello di rischio di default attribuito all’Italia (i cds a cinque anni sono 500 punti base più alti dei Paesi virtuosi) è addirittura maggiore di quello implicitamente suggerito dal rating Baa2 di Moody’s.
Ma sul fragile equilibrio politico dell’Italia le analisi dell’agenzia di rating potrebbero comunque avere un impatto pesante. Anche perché costituiscono un brusco ritorno alla realtà dopo un fase, tra il Consiglio europeo sullo scudo anti-spread e il varo della spending review, in cui il Professore era riuscito a rialzare la testa e ad allungare timidamente il passo. Dopo le celebrazioni, un po’ gonfiate, degli ultimi giorni, gli esperti di Moody’s ci ricordano che il peggio non è affatto dietro le spalle. Ai rischi di un eccessivo aumento del costo del finanziamento del debito sovrano dovuto all’aumento della sfiducia dei mercati, alla fuga degli investitori stranieri, ai timori su un possibile contagio di Spagna e Grecia e alle «incertezze dovute al clima politico», si aggiunge anche «l’ulteriore deterioramento dell’economia» che rischia di far saltare tutti gli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici dichiarati nei mesi scorsi. E qui Moody’s ci comunica ufficialmente quello che tutti sanno da mesi ma nessuno (comprese la Ue e la Bce, che da un po’ glissano clamorosamente sull’argomento) ha il coraggio di dire. E cioè che il pareggio di bilancio, al di là delle ridicole chiacchiere sul “quasi” raggiungimento, è già slittato dal 2013 promesso a dicembre scorso al 2015. In quest’ottica, parlare di «sfida enorme» per l’Italia, come fa Moody’s, forse è fin troppo generoso.
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