È partito proprio da Madrid l'ennesimo uragano che ieri si è abbattuto con violenza sull'Italia. Uragano che si è completamente disinteressato di quanto avveniva in teleconferenza a Bruxelles, dove l'Eurogruppo ha dato il via libera al programma di aiuti per ricapitalizzare le banche spagnole. Un piano che prevede una disponibilità complessiva «fino a 100 miliardi», di cui 30 miliardi utilizzabili da subito per «bisogni finanziari imprevisti». Il problema, spiegano alcuni analisti, è che alla luce delle dichiarazioni del governo sul default del Paese dietro l'angolo e dell'andamento dei tassi sui titoli di Stato degli ultimi giorni, i mercati si aspettavano qualcosa di più di un sostegno che era già ampiamente atteso e metabolizzato.
Il risultato, comunque sia, è che su Spagna e Italia si è scatenato l'inferno. La Borsa di Madrid ha chiuso con un calo pesantissimo del 5,82% e i rendimenti dei bonos (i nostri Btp decennali) sono saliti di 610 punti base rispetto ai bund tedeschi. Non è andata affatto meglio da noi, dove la Borsa è scivolata giù del 4,38%, con crolli generalizzati di banche e assicurazioni. Ma il vero problema è il maledetto spread, schizzato di nuovo ai valori proibitivi che hanno causato l'uscita di scena del governo Berlusconi. Il differenziale tra Btp e Bund ha aperto a 477 e, dopo aver toccato nel corso della giornata i 504 punti, si è attestato a fine seduta esattamente a 500 punti base. Un livello che renderà il finanziamento del debito pubblico non sostenibile. E che si avvicina moltissimo a quello (519 punti) del 16 novembre 2011, giorno del giuramento del governo Monti.
Il professore ieri ha cercato di minimizzare sostenendo che «il contagio è in corso e non da oggi» e che, tutto sommato, lo spread da quando è arrivato lui è sceso di 74 punti rispetto ai 574 che ha trovato. Al di là del fatto che quando si è dimesso Berlusconi era a 553 e quando ha giurato Monti a 519, come abbiamo detto, la realtà è che la crisi italiana si sta avviando su una strada da cui non si potrà uscire con le battute.
E neanche con le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che mentre ostacola a Bruxelles qualsiasi strumento anti crisi che abbia un minimo di efficacia (ovvero mani libere alla Bce per acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà) poi spiega al quotidiano francese Le Figaro che «l'Italia non avrà problemi» e che Monti è una «chance» per il nostro Paese e per l'intera Europa.
Il rischio è invece che per evitare di far saltare l'euro, ipotesi che a Berlino spaventa solo per le conseguenze drammatiche che avrebbe sulle sue esportazioni, arrivino soluzioni drastiche e indesiderate. Sul fronte interno, inutile dirlo, un'ulteriore stretta fiscale, a partire dalla patrimoniale. Su quello europeo, potrebbe prendere corpo l'ipotesi (caldeggiata dai tedeschi) del cosiddetto Fondo di redenzione in cui far confluire le quote di debito europeo eccedenti il 60%. Cosa che per noi (che dovremmo conferire al fondo circa la metà del nostro debito) comporterebbe, secondo le simulazioni di Mediobanca, un trentennio di rigore fiscale e tagli draconiani alla spesa pubblica. Il tutto garantito, ovviamente, dalle nostre riserve auree.
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