Una decina di anni fa, in una delle sue rare interviste, confessò di avere «una grande passione per le istituzione pubbliche». Dimenticandosi, però, di specificare che si trattava di quelle che hanno sede a Via XX Settembre. Con la “promozione” di ieri non c’è ormai casella degli uffici del ministero dell’Economia che Vittorio Grilli non abbia occupato. Consigliere, dirigente, ragioniere dello Stato, direttore generale, viceministro e, da qualche ora, ministro.
Al Quirinale per il giuramento si è presentato poco dopo le quattro di pomeriggio con la seconda moglie Alessia Ferruccio e i tre figli. Scontata, considerata la folgorante carriera del papa, la battuta di Giorgio Napolitano, che si è rivolto ai piccoli chiamandoli “sottosegretari”.
Eppure, non si può davvero dire che il neo ministro si sia mosso nel solco della tradizione familiare. Tranne il papà, proprietario di un’azienda di macchine per il caffé, tutto spingeva verso la medicina. Oncologa la mamma Maria Ines Colnaghi, pediatra la sorella Cristiana e pediatri gli zii. Dopo gli studi al prestigioso Istituto Gonzaga, liceo salesiano della Milano bene, il giovane Grilli, classe 1957, decise invece di varcare i portoni della Bocconi per studiare economia. Da lì il neo ministro non perde più un colpo. La laurea, la borsa di studio di Bankitalia a Rochester, sul lago Ontario, dove conosce la prima moglie Lisa Lowenstein, l’insegnamento prima a Yale e poi a Londra. E’ in questi anni che incontra e frequenta alcuni dei suoi futuri sponsor, da Mario Draghi a Francesco Giavazzi fino a Luigi Spaventa. Saranno loro nel 1993 (Ciampi premier, Spaventa al Bilancio, Dini al Tesoro e Draghi direttore generale) ad aprigli le porte del ministero, prima come consigliere poi come capo (al posto di Giavazzi) della direzione Analisi economico-finanziaria e privatizzazioni e infine di quella Debito pubblico e Tesoreria.
Grilli lascia Via XX Settembre nel 2000, ma è solo una pausa. Nel 2002, dopo un periodo alla Bocconi e un anno al Credit Suisse First Boston, Silvio Berlusconi (con Ciampi al Quirinale) lo sceglie come successore di Andrea Monorchio alla guida della Ragioneria generale dello Stato.
E’ allora che inizia a manifestare la sua predilezione per le istituzioni pubbliche, che considera vere e proprie palestre di vita. «A uno studente di economia», ebbe a dire in quegli anni, «consiglierei di vivere per qualche anno l’esperienza del settore pubblico. In queste stanze si vedono cose che un professionista privato non vedrà mai». E di cose Grilli ne ha viste davvero parecchie. Nel 2005, senza soluzione di continuità, lascia la Ragioneria e approda alla Direzione generale del Tesoro. E lì, al fianco di Domenico Siniscalco, Tremonti, poi Tommaso Padoa Schioppa e infine di nuovo Tremonti, rimane fino al novembre 2011, quando viene chiamato dal professor Mario Monti ad indossare l’ennesima casacca pubblica come viceministro dell’Economia. Ieri, con la nomina a ministro, il cerchio.
Uomo schivo, di poche parole, ma di molte relazioni, Grilli si è mosso con grande disinvoltura negli ultimi anni sia sul fronte interno sia su quello internazionale. Il sodalizio con Tremonti è stato intenso e, secondo alcuni, ancora ben saldo. Ma il neo ministro ha collezionato, nel corso della sua carriera, riconoscimenti e legami assolutamente bipartisan. Ieri, in tempo reale, ha incassato anche gli apprezzamenti dell’ex premier Silvio Berlusconi e del Commissario Ue agli affari economici Olli Rehn. Dell’uomo privato si sa pochissimo, tranne le scarne informazioni che lui stesso ha diffuso. Ama il calcetto, la vela, il golf e tifa Inter.
Far parlare i numeri al suo posto è uno stile di vita dichiarato. Stile a volte rischioso, come quando da vice ministro si è trovato a dover sconfessare i conti pubblici che solo qualche mese prima aveva difeso come direttore generale. Al momento opportuno, comunque, sembra se la cavi abbastanza bene anche con le parole. Come quelle con cui negli ultimi mesi ha rintuzzato le richieste di ministri troppo esigenti. Tra le liti più rumorose si ricordano quelle col ministro dello Sviluppo Passera, per le coperture del dl sviluppo e i project bond, e quelle con la titolare del Welfare Fornero per il pasticcio degli esodati. Il suo meglio, però, lo dà dietro le quinte. Molti ritengono che il grosso del lavoro (e dei risultati) della delegazione italiana all’Ecofin negli anni scorsi, e anche negli ultimi mesi, sia ricaduto sulle sue spalle. Mentre c’è chi assicura che ci sia il suo zampino dietro due operazioni non marginali di un paio di anni fa (curiosamente avvenute entrambe nel maggio 2010) come la nomina di Andrea Beltratti alla presidenza del Consiglio di gestione di Intesa e quella di Giovanni Gorno Tempini alla guida della Cdp. Una cosa è sicura: difenderà l’euro con tutte le sue forze. Nel ’98 taglio una barba che portava da dieci anni in seguito ad una scommessa con Ciampi sulla moneta unica. Dovesse saltare tutto, dovrebbe farla ricrescere.
© Libero