Di sicuro quello di Angela Merkel è un significativo cambio di passo. La Cancelliera di ferro si è presentata al vertice bilaterale di Villa Madama con il piglio di una affettuosa gattina. «Collaboriamo molto bene con Monti e il suo governo, abbiamo bisogno di tale intensità di scambio ed è necessario rafforzarla giorno per giorno», ha spiegato il capo del governo tedesco, aggiungendo confidenzialmente di essere «sempre riuscita a trovare un'intesa con Mario».
L'idillio tra la Merkel e il premier italiano è poi proseguito con una serie di attestati di stima. «Il governo Monti», ha assicurato, «ha già intrapreso molteplici riforme in tempi rapidi, e ci ha annunciato che altre decisioni fondamentali stanno per arrivare». Quanto ai rapporti tra Roma e Berlino, «ci appoggiamo a vicenda», ha detto la Cancelliera, ammettendo che ci sono dei settori «in cui i tedeschi non sono bravissimi» e Italia e Germania «devono imparare l'uno dall'altro».
Assist che il premier non ha faticato a mettere in rete. «Io e la Merkel lavoriamo bene insieme: lei tedesca, io italiano», ha spiegato Monti, «crediamo in una Soziale MarktWirtshaft (economia sociale di mercato, ndr) altamente competitiva». Poi, per prendere le distanze dal sostanziale flop della riforma del lavoro, su cui Monti è stato lapidato dalla stampa internazionale, il professore ha scaricato la colpa sulle parti sociali, spiegando che la legge «è stata svilita da entrambe le categorie che hanno partecipato alle consultazioni». Il premier si è infine pavoneggiato con la spending review, dicendo che «è venuto il momento di agire in modo più strutturalmente convincente sul settore pubblico».
La versione del vertice consegnata alla stampa, insomma, sembra quella di un'intesa strettissima, di un patto d'acciaio sulla crescita e di un affiatamento anche umano tra i due premier. Un quadretto che, a pochi giorni dal Consiglio europeo, confermerebbe la ritrovata credibilità internazionale di Monti e la sua abilità nel ricucire e rinsaldare il rapporto sfilacciato con la Merkel.
Le buone maniere della Cancelliera e l'indubitabile cambio di atteggiamento di Berlino nei confronti del nostro Paese, però, non sembrano essere associate a grandi passi avanti sulla sostanza delle questioni messe sul tavolo il 28 giugno da Francia, Italia e Spagna. Sia la Merkel sia Monti hanno ribadito che le decisioni del vertice europeo sono state prese «all'unanimità», sgombrando così il campo da possibili ripensamenti “facili” di Olanda (che ieri ha spiegato di essere «reticente» ma di non opporsi «in tutti i casi» allo scudo anti-spread) e Finlandia. Resta, però, da capire quanto quelle decisioni siano rivoluzionarie per il destino dell'Europa. La Merkel ha lodato le misure anti crisi scaturite dal Consiglio Ue, ma anche aggiunto che «la cosa importante è che tali strumenti siano attuati sulla base delle regole già in vigore». Ed ecco il punto su cui ruoterà probabilmente il vertice del 9 luglio e, forse, anche quello del 20. In quelle sedi bisognerà riempire di contenuti l'accordo di massima sullo scudo anti-spread e non è escluso che alla fine l'acquisto di bond da parte del fondo salva Stati riattiverà gli stessi meccanismi di controllo attualmente previsti per gli aiuti europei.
Del resto, finora, l'unico successo reale è stato quello di aver lasciato l'Fmi, il guardiano più severo, fuori dalla schiera dei vigilanti (che comprendono comunque Bce e Commissione Ue). Ma il rischio è che senza l'appoggio del Fondo monetario, l'Esm-Efsf non abbia la necessaria potenza di fuoco. Non è un caso che anche ieri Monti abbia ribadito con forza che l'Italia non chiederà aiuti. Il nostro Paese «non ha bisogno di sostegno», ha puntualizzato, lasciando intravedere più di un sospetto sul fatto che per i Paesi in affanno ricorrere allo scudo non sarà così indolore come invece chiedevano Francia, Italia e Spagna attraverso un meccanismo automatico e non a richiesta. Come ha detto fuori dai denti l'ex ministro Renato Brunetta, «le parole di Monti e Merkel sullo scudo sono state molto vaghe. Evidentemente il vertice non è bastato, probabilmente è stato anche inutile: un'operazione più opportunistico-mediatica che risolutiva».
A fronte di uno strumento dalle armi spuntate, la Merkel ha invece ottenuto l'affossamento definitivo degli eurobond, su cui si giocava la vera partita. Basti pensare che ieri nessuno li ha neppure menzionati, malgrado all'incontro fosse presente anche il ministro degli Esteri tedesco che ieri in un'intervista alla Stampa ha ribadito il no della Germania alla mutualizzazione del debito «anche sul lungo periodo».
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