Passera aveva premesso di non voler parlare di società quotate, tanto più, verrebbe da dire, di quelle che stanno attraversando fasi di forti oscillazioni a Piazza Affari, come accaduto anche ieri al colosso della difesa e delll’aerospazio. Eppure, la sua incursione è andata a toccare proprio il nodo più rovente del nuovo corso di Finmeccanica, quello su cui sono puntati tutti i riflettori del mercato e a cui, sembra, sono appesi i giudizi degli investitori italiani e stranieri in merito alla capacità del neo ad e presidente Giuseppe Orsi di rilanciare il business del gruppo dopo la stagione Guarguaglini. Bastava leggere l’autorevole Lex Column del Financial Times di ieri per capire che l’argomento va preso con le pinze. Dopo aver espresso apprezzamento per la costosa (3,2 miliardi di svalutazioni e oneri straordinari) pulizia operata nel bilancio dal manager, il quotidiano della comunità finanziaria londinese non nasconde di aspettare Finmeccanica al varco soprattutto su due fronti: la ripartenza degli ordini e il piano di dismissioni. Piano che, nelle intenzioni di Orsi, serve non solo a restringere il perimetro di attività del gruppo per migliorare la competitività nei settori strategici, ma anche per rastrellare almeno un miliardo entro il 2012 per tenere sotto controllo il debito.
Solo qualche giorno fa lo stesso Financial Times citava una frase di Mario Monti relativa alla Fiat («non ha il dovere di occuparsi solo dell’Italia, ma di investire dove è più conveniente») per sottolineare con favore, riferendosi proprio alle cessioni di Finmeccanica, il nuovo atteggiamento del governo italiano che ha finalmente finito di mettere becco negli affari delle sue aziende a caccia di convenienze politiche più che industriali. E le inchieste dei mesi scorsi hanno dimostrato che il gruppo della difesa e dell’aerospazio di intrecci pericolosi con i Palazzi ne sa, purtroppo, qualcosa. Le parole di Passera sembrano ora riportare indietro le lancette dell’orologio. Malgrado qualcuno da sinistra e dal mondo sindacale lo accusi addirittura di fare spallucce di fronte alla crisi che sta attraversando il gruppo, il ministro ha invece messo un paletto non da poco sulla strada dell’ad Orsi, che proprio in questi giorni ha ricevuto delle importanti manifestazioni di interesse internazionale per alcune delle società messe sul mercato. Forse il ministro non si è ancora ripreso completamente dalla lunga notte di trattative con gli operai dell’Alcoa. O forse, più semplicemente, teme di doverne fare altre. In entrambi i casi, il silenzio sarebbe probabilmente stato la scelta più saggia.
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