sabato 17 marzo 2012

L'accordo sul lavoro è già sparito

A tre giorni dal vertice con Mario Monti le parti sociali tentano di mostrare i muscoli nel tentativo, evidentemente, di portare a casa qualche risultato in più. Come se non bastassero le concessioni già fatte dal governo, che, scaricando i costi della riforma sulle piccole imprese, ha accolto alcune richieste di Confindustria sull’allungamento dei tempi e, soprattutto, ha limitato ad un ritocchino di maquillage gli interventi sull’articolo 18.



Malgrado la sostanziale resa dell’esecutivo, l’entusiasmo e l’ottimismo di giovedì, quando l’accordo sembrava a portata di mano, è già stato archiviato. Ieri la coperta è tornata ad essere troppo corta. Con la Cgil che frena e chiede ulteriori garanzie sui licenziamenti. E Confindustria che, riacciuffando in zona Cesarini le piccole e medie imprese inviperite per l’andamento della trattativa, è tornata a sfornare una nota congiunta. Per ora, si legge in un documento firmato anche da Abi, Ania, Cooperative e Rete Imprese, la riforma «non individua le giuste soluzioni». Anzi, rischia di «indebolire» le aziende. Il messaggio è chiaro, ci sono «criticità da superare», altrimenti non ci può essere un accordo condiviso. Stessa musica per la leader della Cgil, Susanna Camusso, secondo cui «gli accordi sono possibili quando c’è un merito che viene condiviso, credo che ci sia ancora della strada da fare».
Il salto è brusco. Soprattutto quello provocato dalla protesta delle imprese, che rimanda ancora più indietro nel tempo. Le note congiunte sono infatti state usate mesi fa per scandire tutti i passaggi più duri della crisi del governo Berlusconi. Ora lo stesso strumento viene utilizzato anche nei confronti di Monti. Il giorno dopo, però, un sostanziale via libera all’impianto proposto dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero.
Una bella gatta da pelare per il premier, che durante il vertice di giovedì sera aveva anche incassato un sostanziale sostegno dai leader di Pd, Pd e Terzo Polo. Il governo, comunque, si mostra ancora ottimista, forse nella convinzione che lo strappo di ieri sia semplicemente un rilancio strategico in vista della trattativa finale.

Mario Monti ha ribadito che la riforma del mercato del lavoro «è un tema cruciale e una priorità per il governo», mentre Elsa Fornero ha spiegato che l’accordo è «imprescindibile» oltre che «un valore aggiunto di notevole importanza». «Puntiamo ad un accordo con tutti», ha sintetizza in serata il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, fiducioso che il compromesso non sia così lontano. Si tratta solo, ha spiegato, di fare «l’ultimo miglio rispetto ad un grande viaggio fatto insieme». Nella nota delle imprese, ha spiegato, ci sono «posizioni assolutamente lecite, ce ne sono altre da parte sindacale» per cui «bisognerà trovare la maniera per quagliare anche quest’ultimo pezzo».
Nel documento congiunto, le associazioni imprenditoriali sostengono che la riforma «non pare ancora in grado di individuare le giuste soluzioni per la competitività» e, quindi, per la crescita del sistema paese». In particolare, «non può condividersi la proposta sul contratto a termine che verrebbe reso eccessivamente oneroso e sottoposto a vincoli che non trovano riscontro nel resto dell’Europa». Il rischio è che, all’esito della riforma, «le imprese italiane si trovino indebolite di fronte alla concorrenza internazionale».

Il fronte delle imprese è tornato compatto. Ma la sensazione è che l’alleanza sia fragile. La nota congiunta sembra infatti il frutto di un accordo raggiunto all’ultimo minuto su posizioni più care ai piccoli che ai grandi di Viale dell’Astronomia. Solo qualche ora prima che il comunicato iniziasse a circolare, in una nota di Confcommercio firmata dal direttore generale, Francesco Rivolta, si leggeva che «finalmente anche Confindustria» afferma che «non bisogna burocratizzare e ingessare la flessibilità in entrata, né tanto meno aumentare i costi del contratto a tempo determinato». Un principio, rivendica Rivolta, «che andiamo ripetendo dal primo incontro con il governo». E, sembra di capire, erano da soli a farlo.
La cosa che più interessa a Confindustria, dopo aver incassato un allungamento dei tempi dell’entrata a regime dei nuovi ammortizzatori, è adesso la flessibilità in uscita, su cui in effetti sembra in arrivo il classico “topolino”. «Deve essere chiaro a tutti, e credo che per il presidente Monti lo sia, che se dovessimo presentarci ai mercati con una piccola riforma, soprattutto della flessibilità in uscita, la reazione sarebbe negativa», ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che chiede il mantenimento dell’articolo 18 solo per i licenziamenti discriminatori. Non è ancora chiara la posizione del governo, ma molti sostengono che, malgrado la frenata di ieri, o forse proprio per quella, a spuntarla sarà la leader della Cgil, Susanna Camusso, che è disponibile ad accettare modifiche solo sui licenziamenti economici, affidando al giudice il verdetto tra indennizzo e reintegro.

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