venerdì 16 marzo 2012

La Fornero se ne frega delle piccole imprese

Schiacciate tra sindacati e Confindustria, le pmi alzano il tiro. Se la riforma provocherà un aumento del costo del lavoro per le piccole e medie imprese, così come previsto dalla bozza di riforma del mercato del lavoro, le associazioni di categoria potrebbero decidere di disdettare i contratti collettivi di lavoro. «È una eventualità, la stiamo valutando», dicono da Rete imprese Italia. Commercianti e artigiani non ci stanno ad accettare l’aumento degli oneri legati ai contratti a tempo determinato e alla nuova indennità di disoccupazione che porterebbe un aggravio quantificato in circa 2,7 miliardi in più l’anno.

Nel dettaglio per artigiani e commercianti arriverebbe un aumento dei contributi tra i 1.200 e i 2mila euro l’anno, mentre le spese di passaggio al regime semplificato sarebbero per non meno di 1.500 euro. Stangata a cui bisogna aggiungere l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva (dal 20% al 23,5%) e di quella ridotta (dal 10% al 12,5%), per un maggior prelievo di 20 miliardi e 600 milioni e la tassa sui rifiuti, che vale più di 1 miliardo l’anno e grava soprattutto su locali commerciali e laboratori artigiani.
L’ipotesi di stracciare gli accordi collettivi, che non è solo una provocazione, ma è concretamente sul tavolo, potrebbe avere effetti devastanti. Rete imprese italia associa Cna, Confartigianato, Confesercenti, Casartigiani, Confcommercio, cinque organizzazioni dei settori del commercio, servizi, turismo, manifattura e costruzioni che messi insieme rappresentano 4,2 milioni di imprenditori. I dipendenti sono in totale 6 milioni e 850mila, pari al 54% della forza lavoro complessiva del settore privato.

La protesta non sembra aver scosso più di tanto il governo. L’attenzione di Elsa Fornero, in queste ore, è concentrata sul tentativo di portare a casa l’accordo dei big in tempo con le scadenze previste dalla tabella di marcia. Il ministro del Welfare si è detta «fiduciosa» che l’intesa possa essere «raggiunta entro pochi giorni». «Stiamo lavorando per questo», ha aggiunto, spiegando che «l’obiettivo è aumentare l’occupazione e far si che l’occupazione sia migliore di quella che c’è». Anche Mario Monti è ottimista. «Siamo in dirittura d’arrivo», ha detto ieri dopo aver confermato la convocazione delle parti sociali per martedì.
Ma sul fronte politico l’insofferenza cresce, soprattutto dalle parti del Pdl, che non sembra particolarmente contento né delle concessioni a sindacati e Confindustria su articolo 18 e tempi della riforma, né della batosta per le Pmi. Il più esplicito è Guido Crosetto, che boccia senza mezzi termini le ultime proposte del governo. «Ho grande rispetto per la signora Fornero e la sua schiettezza, ma questa soluzione non è accettabile», ha detto il deputato del Pdl. La proposta, secondo Crosetto, «avrà alcune conseguenze chiare: colpisce le piccole e medie aziende aumentando i contributi, burocratizza ancor di più i contratti del lavoro inibendo le possibilità di ingresso per i giovani e non parla nemmeno dei temi collegati all’art. 18».
Pur confermando che l’impegno del Pdl «è volto a far si che il governo possa varare entro la prossima settimana la riforma», anche Angelino Alfano storce il naso. «Se tutti fossero su Twitter», ha detto il segretario del Pdl,  «io invierei sui loro profili questo messaggio: “sì alla riforma del lavoro, no all’aumento dei costi del lavoro per le imprese”». La vera priorità, ha poi spiegato, «è una riforma coraggiosa e che non penalizzi le pmi e i lavoratori».

Ma un po’ di malumori circolano anche nel Pd, che da settimane cerca di trovare la quadra al suo interno tra la componente massimalista, schiacciata sulla Cgil, e quella riformista, che invece vorrebbe procedere a testa bassa sui nodi caldi della riforma. «C’è la possibilità di arrivare ad un accordo, ma c’è ancora qualche problema su cui bisognerà discutere», ha detto il segretario Pierluigi Bersani, citando il tema degli ammortizzatori, dei contratti e delle risorse. Che sono di fatto i tre punti su cui ruota tutta la riforma, tranne, l’articolo 18 sui cui sembra ormai certa la resa del ministro. L’ultima versione della proposta, infatti, prevede la possibilità solo per i licenziamenti per motivi economici (il cosiddetto giustificato motivo oggettivo) di lasciare al giudice la decisione, in caso di licenziamento illegittimo, tra il reintegro e l’equo indennizzo. Il reintegro resterebbe invece con le regole attuali (il giudice ordina comunque il reintegro nel caso di licenziamento illegittimo) nel caso di licenziamenti discriminatori, senza giusta causa e senza giustificato motivo soggettivo (ovvero motivi attinenti al comportamento del lavoratore).

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